Hanno le facce segnate dal dolore, di chi non ha ancora superato quel lutto che lascia delle cicatrici immani nell’anima. Sono i parenti di coloro che sono rimasti uccisi dalla valanga che ha colpito l'albergo Farindola a Rigopiano  il 18 gennaio 2017, riunitisi questa mattina fuori dal palazzo di giustizia di Pescara per chiedere giustizia in nome dei loro cari, mamme, compagne, figli, mariti e nipoti.

Ognuno di loro indossava magliette bianche sulle quali ha fatto stampare l’immagine del proprio familiare, in occasione della prima udienza preliminare, davanti al Gup Gianluca Sarandrea, relativa all'inchiesta principale sul disastro dell'Hotel di Farindola (in provincia Pescara) nel quale morirono 29 persone. 

L'udienza invece subito rinviata al 27 settembre per valutare le costituzioni di parte civile e per consentire ai difensori degli imputati di interloquire sulle costituzioni di parte civile. Momenti di tensione si sono registrati in aula quando il giudice ha chiesto un parere alle parti per decidere una nuova data, compatibilmente agli impegni di tutti e, mentre le date slittavano, Giampaolo Matrone, sopravvissuto, è intervenuto alzando la voce:«Sono due anni e mezzo che aspettiamo. Che sia il prima possibile».

Rischiano il processo 24 imputati

Sono 24 gli imputati che rischiano il processo, tra i quali l'ex prefetto di Pescara Francesco Provolo, l'ex presidente della Provincia di Pescara Antonio Di Marco e il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, ai quali si aggiunge la società Gran Sasso Resort Spa. Dal crollo o altri disastri colposi all'omicidio e lesioni colpose, all'abuso d'ufficio e al falso ideologico i reati ipotizzati a vario titolo dalla Procura. Al centro dell'inchiesta dei carabinieri forestali, coordinata dal procuratore capo Massimiliano Serpi e dal sostituto Andrea Papalia, la mancata realizzazione della carta valanghe, le presunte inadempienze relative alla manutenzione e allo sgombero delle strade di accesso all'hotel, il tardivo allestimento del centro di coordinamento dei soccorsi.

In piedi, con i volti dei parenti sul petto

In piedi figli, mariti, aspettano con ansia, e la speranza di avere almeno giustizia. «Finalmente siamo arrivati qui, dopo 2 anni e mezzo in cui se ne è parlato in tutti altri luoghi rispetto a un’aula di tribunale. Da oggi inizierà un cammino che spero non sia lunghissimo e porti alla giustizia. Chi ha sbagliato deve pagare, una tragedia come questa non può rimanere impunita», ha commentato all’Adnkronos Marco Foresta, 31 anni, unico figlio di Tobia e Bianca Iudicone.
«Ho tante aspettative - gli fa eco Francesco, fratello di Gabriele D’Angelo, morto a 31 anni nella valanga - sperando non sia un grande bluff e che la legge sia uguale per tutti. E’ l’inizio di una grande battaglia. La nostra vita è stravolta, mia mamma oggi si è fatta forza ed è la prima volta che viene in udienza, pretendiamo giustizia».
«La mamma di Marinella è rimasta a casa, si è chiusa, siamo venuti qui io, il padre e la sorella. Non ci dà soddisfazione niente, ma chiedo solo che a questa gente tolgano il posto dove sono, posti di responsabilità che non meritano. Ancora sono dove erano, non è successo niente», ha continuato Giuliana, zia di Marinella Colangeli, 30enne responsabile del resort Rigopiano morta insieme ad altri 28 "angeli", come scritto nelle magliette dei loro familiari in aula.

«Ci aspettiamo venga fatta giustizia» dicono ancora all’Adnkronos Mariangela e Pina, mamma e zia di Ilaria Di Biase, morta a soli 22 anni nell'hotel, dove lavorava come cuoca. Stringono una foto della ragazza mentre gli occhi si fanno sempre più lucidi: «Devono pagare tutti, dal primo all'ultimo. E' stata una tragedia che si sarebbe potuta evitare. Noi stiamo male, sempre peggio, con tanta rabbia e tanto dolore, queste persone - aggiunge la mamma di Ilaria rivolgendosi agli imputati - secondo me non hanno coscienza di cosa accaduto, nemmeno ci pensano».