Un terremoto giudiziario si è abbattuto sul Comune di Venezia. In un'inchiesta per corruzione, legata alla vendita di aree pubbliche e di palazzi comunali, è stato indagato il sindaco della città, Luigi Brugnaro, assieme a due funzionari del suo gabinetto, Morris Ceron, e Derek Donadini.

Nella stessa inchiesta della Guardia di Finanza, ma in un filone diverso, è stato arrestato l'assessore comunale alla mobilità Renato Boraso. In cella anche l'imprenditore edile Fabrizio Ormenese. 

Agli arresti domiciliari sono finiti invece altri 7 funzionari comunali e di partecipate pubbliche, tra le quali l'azienda dei trasporti comunale Actv. Per altri sei indagati è stata disposta l'interdizione per 12 mesi dai pubblici uffici. In tutto gli indagati sono 18; tra essi anche il direttore generale dell'Actv, Giovanni Seno, e il responsabile del settore appalti, Fabio Cacco. Una bufera, per proporzioni e portata politica, seconda solo all'inchiesta sugli appalti del Mose, che 10 anni fece scattare 35 arresti in laguna.

A Boraso, ex Forza Italia transitato sotto le insegne della 'lista Brugnaro' e in Coraggio Italia - movimento fondato da Brugnaro assieme a Giovanni Toti - la Procura di Venezia contesta 11 episodi di corruzione, concussione e autoriciclaggio: vicende dal 2015 a oggi tra cui la vendita al ribasso di Palazzo Papadopoli, che vede coinvolti in un altro filone anche il sindaco Luigi Brugnaro e il suo capo di gabinetto Morris Ceron. Per l'accusa Boraso, all'epoca assessore al Patrimonio, si sarebbe fatto consegnare 73.200 euro dagli emissari del magnate di Singapore Chiat Kwong Ching, con fatture alla sua società "Stella consulting" per consulenze inesistenti, nel 2017 e nel 2018; cifre poi girate ad altre due sue aziende. «Ha sistematicamente mercificato la propria pubblica funzione, svendendola agli interessi privati», dice il gip. E in un'intercettazione il sindaco lo mette in guardia: «Tu non mi ascolti, tu non capisci un c… Mi stanno domandando che tu domandi soldi, tu non ti rendi conto, rischi troppo… Se io ti dico di stare attento, ti devi controllare».

Per Brugnaro, Ceron e Donadini, la vicenda oggetto d'indagine è quella dell'area dei Pili, comprata dall'imprenditore di 'Umana' quando non era ancora in politica, a soli 5 milioni, poi zona di lottizzazione, per la quale Brugnaro aveva avviato una trattativa (poi fallita) sempre con Chiat Kwong Ching. Quattro ettari e mezzo di terreni, inquinati dalle lavorazioni di Marghera, finiti sotto il controllo di 'Porta di Venezia', facente sempre capo a Brugnaro, ma con "gestore di fatto" - scrive la Procura - il vice capo di gabinetto in Comune Derek Donadini. Dal 2017 anch'essa in mano al blind trust di diritto newyorkese creato dal sindaco per parare le accuse di conflitto di interessi. È proprio sui meccanismi del blind trust indaga la Gdf. Brugnaro, Ceron e Donadini, è scritto nell'ordinanza, «concordavano con Ching il versamento di un prezzo di 150 milioni di euro in cambio della promessa di far approvare il raddoppio dell'edificabilità e l'adozione delle varianti urbanistiche necessarie per l'approvazione del progetto edilizio».
Brugnaro si dice «esterrefatto» e aggiunge: «So di aver sempre svolto e di continuare a svolgere l'incarico di sindaco come un servizio alla comunità, gratuitamente, anteponendo sempre gli interessi pubblici». E sui Pili precisa: «Quella è un'area già edificabile da prima della mia amministrazione».

Tuttavia, secondo i magistrati, gli stessi Brugnaro, Ceron e Donadini, in un incontro a Venezia «concordavano con Ching la cessione dell'immobile comunale Palazzo Papadopoli al prezzo di oltre 10 milioni di euro, inferiore al valore di 14 milioni... e ciò al fine di facilitare le trattative con Ching per la cessione del terreni dei Pili, di proprietà del Brugnaro». Riduzione del valore dell'immobile effettivamente avvenuta, tramite «atti contrari ai doveri di ufficio posti in essere da Brugnaro, da Ceron e Donadini, che agivano per conto del primo».