Delitti in prime time e poi via alla pubblicità: in televisione confessioni strazianti e atrocità, senza filtri ed etica. E c’è chi comincia a rimpiangere Barbara D’Urso
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L’orrore è in prima serata e la televisione sembra aver oltrepassato ogni limite. Pochi giorni fa, su Canale 5, in piena fascia protetta di family time, tal Lorenzo Carbone ha confessato in diretta tv di aver ucciso sua madre. Lo ha fatto prima davanti alle telecamere di Pomeriggio 5 e poi di fronte alla polizia, che solo in seguito lo ha arrestato. Nessun preavviso, nessun messaggio che segnali che quello a cui si assiste è la realtà e non una nuova puntata del Commissario Montalbano. Poco dopo, la trasmissione è andata in pubblicità tranquillamente, come se nulla fosse.
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Ieri sera Michele Misseri, uno dei famigerati protagonisti del giallo di Avetrana, già condannato per soppressione di cadavere, ha raccontato con quasi nonchalance, i dettagli macabri dell’omicidio di sua nipote Sarah Scazzi: ha spiegato come l’avesse prima molestata, quindi uccisa. Poi ha "deliziato" i telespettatori spiegando di aver spogliato il corpo senza vita nel tentativo di abusarne sessualmente. Il tutto in una trasmissione d’infotainment, d’intrattenimento mascherato da news, come Le Iene, trasmessa alle 21,30 in prima serata su Italia Uno, che è così riuscita nell’impresa terrificante di trasformare la morte tremenda di una ragazzina di quindici anni in un picco di share in prime time.
Eppure, solo un anno fa, Barbara D’Urso veniva estromessa da Mediaset perché i suoi programmi supertrash, incentrati nel raccontare nei dettagli le disgrazie altrui alla ricerca della lacrimetta facile, non erano più ritenuti consoni allo standing voluto per Mediaset da Pier Silvio Berlusconi. Oggi la televisione sembra aver toccato un nuovo fondo: non è più la tv del dolore, ma quella dell’orrore. Confessioni strazianti di delitti veri, omicidi e stupri, trasmesse in fasce orarie delicate in un’escalation inquietante. E via, scattano gli spot. Quelli adatti alle famiglie...
Il pubblico, che fino a pochi secondi prima era distratto dalla pubblicità di merendine e biscotti, si ritrova catapultato in una narrazione di pura atrocità, senza filtri, senza pietà. E mentre l’audience si gonfia ci si chiede se sia rimasto un briciolo di umanità, quantomeno nel rispetto delle vittime, delle loro famiglie e del pubblico stesso, che assiste inebetito a questo spettacolo dell'orrore.
Ma davvero la tv italiana è arrivata a questo? Negli anni Ottanta, il famoso re dell’horror Stephen King, sotto lo pseudonimo di Richard Bachman, aveva già immaginato questo futuro con romanzi come L'Uomo in Fuga e La Lunga Marcia. Storie distopiche, ambientate in un mondo dove la morte in diretta nei reality show era diventato l'intrattenimento principale della televisione. Allora sembrava fantascienza. Oggi, con show che trasmettono confessioni di omicidi, tentati stupri post-mortem e sofferenze umane degradate a spettacolo, la distanza tra finzione e realtà sembra essersi assottigliata.
Uno spettacolo già visto anche con la serie coreana Squid Game, che ha incollato milioni di spettatori al piccolo schermo, raccontando la storia di giochi mortali per soldi. Un’iperbole? Forse. Ma in quel caso, come in quello dei romanzi di King, si tratta di fiction, di fantasia, d’immaginazione. Ora, però, gli omicidi sono veri.
La spettacolarizzazione della sofferenza non è una novità. Da anni la televisione commerciale ci ha abituato a un progressivo abbattimento dei limiti etici, ma quello che stiamo vedendo oggi è diverso. È più crudo, più brutale. Non si tratta più di storie di dolore raccontate per empatia o sensibilizzazione, ma di veri e propri spettacoli dell'orrore, trasmessi senza alcun riguardo per le conseguenze. In fasce orarie in cui anche i più piccoli possono trovarsi davanti allo schermo.
Quello che si domanda l’opinione pubblica è: dov’è finita l’etica? Qual è il limite che non dovrebbe essere oltrepassato? Trasmettere in diretta confessioni di omicidi, parlare di abusi post-mortem con la stessa facilità con cui si annuncia un evento di cronaca ordinaria è davvero ciò che vogliamo come modello di spettacolo?
Myrta Merlino, Le Iene, i giornalisti, i direttori di rete: ognuno giustifica le proprie scelte parlando di “dovere informativo”, ma fino a che punto questo diventa giustificabile? Il pubblico ha il diritto di sapere, certo, ma non così, non senza mediazione, non senza un filtro che protegga le persone più vulnerabili e che eviti di trasformare un dramma umano in spettacolo.
E allora ci si domanda se Pier Silvio Berlusconi, che aveva promesso un rinnovamento a Mediaset, sia veramente orgoglioso di questa deriva. Se gli sponsor, i pubblicitari si rendono conto del contesto in cui i loro spot vengono inseriti? L’omicidio e poi i consigli per lavare via le macchie più ostinate... Magari proprio quelle di sangue. Serve un passo indietro, una riflessione seria su cosa vogliamo che la nostra televisione rappresenti. Perché, se non lo facciamo ora, il prossimo passo sarà ancora più oscuro e terribile. E a quel punto, cosa ci resterà di umano? Per favore, arridateci Barbara D’Urso…