Ha rotto finalmente un silenzio che durava da giorni, Giorgia Meloni, sui casi giudiziari che hanno colpito tre dei membri del Governo, tutti di Fratelli d’Italia: il presidente del Senato Ignazio La Russa, il ministro del Turismo Daniela Santanchè e il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro.

Il caso La Russa 

La presidente del Consiglio ne ha parlato durante la conferenza stampa conclusiva del vertice Nato a Vilnius, quando ha diplomaticamente scaricato il fedelissimo La Russa dissociandosi dalle sue dichiarazioni sullo stupro di cui è accusato il figlio Leonardo.

All’indomani della denuncia di una ragazza di 22 anni, che ha raccontato di essere stata drogata e poi violentata nella casa milanese del presidente del Senato dal figlio ventunenne, Ignazio La Russa aveva accusato la ragazza di essere inattendibile perché aveva aspettato 40 giorni per denunciare e aveva assunto cocaina. La colpevolizzazione di una presunta vittima di violenza sessuale aveva scatenato l’indignazione generale contro La Russa, che aveva anche immediatamente assolto il figlio: «L’ho interrogato, non ha fatto niente di penalmente rilevante» aveva dichiarato.

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Le parole della Meloni

«Capisco molto bene, da madre, la sofferenza del presidente Ignazio La Russa» ha iniziato Meloni rispondendo alle domande dei giornalisti, lasciando già presagire che non fosse prevista nessuna difesa d’ufficio del cofondatore del suo partito «Ma io non sarei intervenuta nel merito della vicenda».

L’accusa di avere parlato a sproposito è abbastanza chiara, ma non è neanche la più dura perché Meloni si dissocia anche dalle parole che più avevano fatto scalpore, quelle che accusavano la vittima di mentire perché non aveva denunciato subito. «Tendo a solidarizzare, per natura, con una ragazza che decide di denunciare una violenza sessuale, non mi pongo il problema dei tempi» ha detto Giorgia Meloni «Certo, bisogna andare nel merito, capire cosa è accaduto. Ma qui la politica deve starne fuori».

Quello che può fare la premier per arginare la seconda carica dello Stato che straparla è ricordare di essere impegnata contro la violenza sulle donne: «Come governo abbiamo approvato qualche settimana fa un ddl sulla violenza sulle donne, che è stato apprezzato come importante passo avanti nei confronti delle vittime. È il lavoro che parla per noi».

«Spero di aver chiarito il mio punto di vista su questa materia, per evitare di mandare avanti presunti scontri che non esistono. Cerco di fare il mio lavoro nel migliore dei modi, realizzando un programma che gli italiani ci hanno chiesto di realizzare» ha detto Meloni, riferendosi alla riforma della Giustizia, assicurando che non abbia niente a che fare con i guai che stanno agitando Fratelli d’Italia. Nessuna punizione, dunque, alla Magistratura e nessun conflitto con i giudici anche se, nella stessa conferenza stampa, Meloni dice di “identificarsi” con la nota di Palazzo Chigi firmata da misteriose fonti interne, che la scorsa settimana accusava la Magistratura di fare campagna elettorale per le elezioni europee, dopo i casi Santanchè e Delmastro. Ci sono «due Meloni», come accusa il segretario del Pd Schlein?

«Nessun conflitto con la magistratura»

Dopo le accuse dell’Associazione Nazionale Magistrati, la presidente del Consiglio prova a staccarsi di dosso l’etichetta berlusconiana dello scontro tra toghe governo: «Non c'è alcun conflitto con la magistratura. Chi confida nel ritorno dello scontro tra politica e magistratura che abbiamo visto in altre epoche, temo che rimarrà deluso. Mi hanno sorpreso le dichiarazioni dell'ANM, come se le posizioni che portiamo avanti da sempre avessero una sorta di intento punitivo da parte del governo nei confronti della magistratura. Consiglio prudenza. Sono convinta che la stragrande maggioranza dei magistrati in Italia sia consapevole del fatto che ci sono dei correttivi da portare avanti e voglia collaborare. Penso che questo sia il modo giusto di procedere, non quello, come sembra da alcune dichiarazioni un po' apocalittiche di alcuni esponenti dell'Associazione, di rappresentarsi come una sorta di guardiani del bene contro il male, perché non mi pare che sia questo il mondo nel quale vogliamo vivere».

Delmastro indagato

Non esiste un nesso tra la riforma Nordio, con la prevista separazione delle carriere tra giudice e pubblico ministero, e i fatti di questi giorni, dice Meloni riferendosi soprattutto al sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, indagato per rivelazione di segreto amministrativo per aver riferito al compagno di partito Donzelli il contenuto di un rapporto di polizia penitenziaria sui dialoghi in carcere tra l’anarchico Cospito e boss di ‘ndrangheta e camorra al 41 bis con lui. Il Giudice per le Indagini Preliminari ha rifiutato la richiesta di archiviazione e ha disposto per Delmastro l’imputazione coatta, obbligando, cioè, il Pubblico Ministero a chiedere il rinvio a giudizio.

«La questione del sottosegretario Delmastro è una questione politica, riguarda un esponente del governo nell'esercizio del suo mandato. Nei suoi confronti viene disposta una imputazione coattiva contro il parere del pubblico ministero di una procura non esattamente abituata a fare sconti. Ho chiesto quanti fossero i casi di imputazione coatta nel nostro ordinamento, mi è stato risposto che sono irrilevanti sul piano statistico. Il giudice non dovrebbe sostituirsi al Pm imponendogli di formulare l'imputazione quando questi non intende esercitare l'azione penale» ha detto la premier, toccando anche il caso del ministro del Turismo Santanchè, indagata per condotte illecite nella gestione delle sue aziende Visibilia e Ki Group.

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La vicenda Santanchè

«In uno stato di diritto chi è indagato non scopre prima dei giornali di esserlo, e il fatto che sia già accaduto in passato non lo rende normale. Le cose devono funzionare secondo determinate regole, perché se saltano quelle regole uno si deve interrogare sul perché» ha detto Meloni, anche se oggi sappiamo che l’iscrizione nel registro degli indagati di Santanchè è precedente al giorno delle sue dichiarazioni in Senato, dove aveva giurato di non essere indagata «Un avviso di garanzia non determina le dimissioni di un ministro, a maggior ragione con queste modalità. La questione non è politica, riguarda la sua attività, non il suo ruolo di ministro. Si tireranno le somme, ma il merito competa alle aule di tribunale non alle trasmissioni televisive» ha concluso Meloni, accusando Report e assolvendo il ministro.