Immaginate la scena. È un giorno qualunque d’aprile, e nella basilica di San Pietro, tra marmi e mosaici che raccontano duemila anni di fede, spunta una carrozzina. Sopra, un uomo di 88 anni, Jorge Mario Bergoglio, Papa Francesco. Non ha la talare bianca, né la papalina che lo rende icona. Indossa una “maglia della salute”, pantaloni neri e un poncho a righe, quello dei campesinos argentini, gente che vive della terra. È un’immagine che ti colpisce come un pugno nello stomaco. Non è il Papa dei cerimoniali. È un anziano, fragile, appena uscito da un mese e mezzo di ospedale.

Eppure, quel poncho sta facendo tremare la Chiesa. C’è chi grida alla profanazione del papato e chi lo vede come un abbraccio al mondo. Oggi vogliamo raccontarvi questa storia, perché qui, tra le righe di un gesto, c’è il cuore di un uomo. E forse di un’epoca.

Quando il Papa diventa “uno di noi”

Partiamo da chi si è scandalizzato. E non sono pochi. Per molti, il Papa è il vicario di Cristo, il successore di Pietro, una figura che non può permettersi di essere “normale”.

Presentarsi in San Pietro senza paramenti, con i capelli in disordine e un poncho che sembra preso dall’armadio di un nonno, è un affronto. «Il papato non è un mestiere qualunque», scrive Luisella Scrosati, una voce che non usa mezze misure. Per lei, quel poncho è l’ultimo atto di un pontificato che ha piegato l’ufficio petrino alle idee di Bergoglio, un «narcisismo» che mette Francesco davanti alla Chiesa, non dietro.

Chi la pensa così guarda al passato con rimpianto. Pensate a Benedetto XVI, Joseph Ratzinger. Anche nella malattia, non ha mai smesso la talare bianca, nemmeno dopo aver detto “basta” al papato nel 2013. Per lui, essere Papa significava sparire, lasciare che Cristo parlasse attraverso il suo ruolo. Oppure rammentate Giovanni Paolo II, Karol Wojtyła. Il suo Parkinson, le cadute, il dolore: tutto trasformato in un’icona di fede. Non ha mai nascosto la sofferenza, ma l’ha vestita con la dignità di chi sa che il Papa è più di un uomo. Francesco, invece, sembra dire: «Sono un uomo, e basta». E questo, per i tradizionalisti, è un terremoto.

Non aiuta il contesto. Un video «rubato», come lo definisce un utente su X, che punta il dito sulla “sciatteria” vaticana. Nessun filtro, nessun controllo. «Se un turista può dissacrare l’altare del Bernini, figuriamoci se proteggono l’immagine del Papa», scrive.

È un’accusa che brucia: il Vaticano non è Buckingham Palace, e si vede. Ma c’è di più. Francesco è anche un capo di Stato, il sovrano della Città del Vaticano. Provate a immaginare Filippo VI di Spagna che gira per Madrid in vestaglia, o Sergio Mattarella fotografato in ciabatte al Quirinale. Non regge. L’immagine di un leader, sacro o laico, è un linguaggio. E quel poncho parla una lingua che non tutti capiscono.

Un grido di umanità

Eppure, c’è un’altra campana. Ed è forte. Per molti, quel poncho non è un errore, ma un capolavoro. Francesco, il prete argentino che scelse il nome di Assisi, non ha mai voluto essere un re. È l’uomo che vive a Santa Marta, non nel Palazzo Apostolico; che porta una croce di ferro, non d’oro; che viene dalla “fine del mondo” per stare con gli ultimi. «È il poncho dei campesinos», spiega Mariano Russo, presidente dell’associazione Argentina per il mondo. «Un segno per dire: siamo con i poveri, non dobbiamo lasciarli indietro».

Guardatelo bene, quel Francesco in carrozzina, con le cannule nasali e il volto stanco. Non è solo un Papa. È un anziano che soffre, come milioni di nonni in tutto il mondo.

«Un gesto che fa bene a tutti», dice Padre Enzo Bianchi, fondatore della comunità di Bose. Non è desacralizzazione, è Vangelo puro. È Cristo sulla croce, spogliato di tutto, che salva con la sua debolezza. Francesco non nasconde la malattia – quasi un mese e mezzo al Gemelli, due volte vicino alla morte, dicono i medici – ma la offre. È andato a San Pietro senza avvisare, per pregare sulla tomba di San Pio X e salutare le restauratrici, quasi tutte donne, che preparavano la basilica per la Settimana Santa. È il pastore che non si ferma, anche se il corpo cede.

Viene in mente un passo di Civiltà Cattolica, la rivista dei gesuiti, che Francesco conosce bene. Parla di Ezechia, il re d’Israele, che nella malattia si volta verso il muro e prega: «Signore, ricordati che ho camminato con fedeltà». Francesco non si volta al muro. Guarda i fedeli, con quel poncho che è un abbraccio. È il Papa che dice: «La sofferenza è umana, e io sono umano». E in un mondo che nasconde i vecchi e la fragilità, questo è un urlo.

Due Papi, due croci

Non possiamo non guardare indietro. Giovanni Paolo II ha fatto della sua malattia un magistero. Il tremore, le cadute, il silenzio degli ultimi giorni: tutto gridava fede. Non si è mai risparmiato, anche quando il corpo lo tradiva. La sua croce era pubblica, ma avvolta nella talare, come a dire: «Sono il Papa, e porto questo peso per voi». Benedetto XVI, invece, ha scelto il silenzio. La sua rinuncia è stata un atto d’amore per la Chiesa, un dire: «Non ce la faccio più, ma resto al servizio di Dio». Anche nella fragilità, Ratzinger era austero, liturgico, come se ogni gesto dovesse riflettere il mistero.

Francesco è diverso. Non cerca la scena, ma non la rifugge. Quel poncho non è un costume, è lui. È l’uomo che si presenta com’è, senza filtri, e lascia che il mondo giudichi. È un rischio, certo. Gian Franco Svidercoschi, vaticanista di razza, lo ha detto senza giri di parole: «Per tre quarti di pontificato, è mancato l’assoluto. È mancato Dio». Una stoccata che pesa. Svidercoschi parla di una Chiesa più divisa, meno inclusiva, con un Papa che a volte sembra troppo protagonista. Ma è proprio questo il punto: Francesco divide perché è umano, troppo umano, come direbbe Nietzsche.

Un Papa, un uomo, un enigma

Allora, chi è Francesco col poncho? Un Papa che ha tradito il suo ruolo o un profeta che ci riporta a Cristo? La risposta non può averla nessuno. Ma una cosa è cristallina: quest’uomo di 88 anni, che ha riformato la Curia, spalancato le porte agli ultimi e affrontato nemici dentro e fuori il Vaticano, non lascia nessuno indifferente. È andato a San Pietro per pregare, non per fare spettacolo. Eppure, il suo gesto è diventato uno specchio. C’è chi ci vede la fine del papato e chi ci vede l’inizio di una Chiesa nuova.

Una cosa colpisce. Quel poncho, in fondo, è un ponte. Tra il Papa e i poveri, tra la fede e la vita, tra il cielo e la terra. È un rischio, certo. Ma Francesco i rischi li ha sempre corsi. E mentre il mondo lo guarda – con amore, con rabbia, con stupore – lui va avanti. Con la sua carrozzina, il suo poncho, e una storia che non smette di scriversi.