Mercoledì sera, nel quartiere Almagro, cuore popolare di Buenos Aires, il tempo sembrava sospeso. L’aria d’autunno aveva il profumo delle foglie secche e delle candele accese. L’oratorio di San Antonio, semplice e familiare, si era trasformato in un santuario laico e religioso per onorare il figlio più illustre di quelle strade: Jorge Mario Bergoglio, Papa Francesco.

Un filo invisibile di affetto e memoria univa le centinaia di persone che si erano date appuntamento davanti all'oratorio dove, nel 1908, il sacerdote salesiano don Lorenzo Massa aveva fondato il Club Atlético San Lorenzo de Almagro, il “Ciclón”. Proprio lì dove era nato il club, la comunità del quartiere si è raccolta per dire addio al Papa che non aveva mai rinnegato le sue radici, né la sua fede calcistica.

Dalle prime file fino al sagrato, le maglie rossoblù si confondevano con i giubbotti pesanti e gli sciarponi tirati su fino al mento. C'era chi sventolava una bandiera del San Lorenzo, chi stringeva una foto di Francesco sorridente. Un dolore composto, fatto di piccoli gesti: un segno della croce, un bacio all'icona della Vergine, una lacrima strofinata via di nascosto.

Lucía, 45 anni, insegnante del quartiere, parlava a bassa voce: «Sono cresciuta qui. San Lorenzo non è solo una squadra: è una famiglia, è casa. La morte di Papa Francesco mi ha toccata profondamente. Venire qui stasera, nel nostro oratorio, era l’unico modo che avevo per salutarlo davvero».

Accanto a lei, Miguel, pensionato di 70 anni, stringeva tra le mani una maglia consumata: «Il Papa ci ha rappresentato. È stato grande tra i grandi, ma non è stato sempre capito nel suo Paese. Qui, però, non lo abbiamo mai dimenticato».

Durante l'omelia, don Juan Pablo Sclippa ha ricordato la semplicità di Bergoglio: «È stato un grande che ha saputo restare piccolo. Un pastore che, come ci insegnano il Vangelo e il nostro San Lorenzo, sapeva che nessuna partita si vince da soli e che nella vita nessuno si salva da solo». Al termine della predica, l'oratorio è esploso in un applauso lungo e commosso, in cui si mescolavano fede, orgoglio e gratitudine.

Il legame tra Papa Francesco e il San Lorenzo era qualcosa di più di un semplice tifo calcistico. Da ragazzo, Bergoglio si confondeva tra i tifosi sugli spalti del Viejo Gasómetro, mano nella mano con suo padre. Nel 2008, il club gli consegnò la tessera di socio onorario numero 88.235: un numero che oggi suona come una toccante profezia. Gli 88 richiamano gli anni di età di Francesco al momento della morte, mentre il 23 coincide con il giorno della sua scomparsa, il 23 aprile 2025. Una coincidenza che, in queste ore di lutto, è diventata per molti un piccolo segno da custodire nel cuore.

La società sportiva ha già annunciato che nella prossima partita i giocatori scenderanno in campo con maglie commemorative in suo onore. E non è escluso che il nuovo stadio in costruzione venga intitolato proprio a Papa Francesco, perpetuando il legame tra il club e il suo tifoso più amato.

Fuori dall'oratorio, le vie di Almagro erano ancora vive, ma in un silenzio rispettoso. I negozianti avevano abbassato a metà le saracinesche. Qualcuno appendeva ai balconi bandiere del San Lorenzo listate a lutto. Sui marciapiedi, piccoli gruppi di fedeli si fermavano a raccontarsi aneddoti: di quando Bergoglio da arcivescovo celebrava messa nel quartiere, di quando il "Padre Jorge" fermava la gente per strada per una chiacchierata.

Tra loro c’era anche Sebastián, 35 anni, con il figlio in braccio: «Voglio che mio figlio sappia chi era Papa Francesco. Non solo un Papa argentino. Non solo un tifoso del San Lorenzo. Ma un uomo che ha creduto che il Vangelo è camminare insieme agli ultimi, senza mai sentirsi migliori di nessuno».

Il vento si era fatto più freddo quando, davanti alla facciata dell’oratorio, un coro spontaneo si è alzato. Non un canto sacro, ma l’inno del San Lorenzo, intonato a mezza voce, come una ninna nanna per chi è partito. In quel momento, tra le vie di Buenos Aires, il Papa dei Cuervos era davvero tornato a casa.

Mentre la messa volge al termine, fuori dall’oratorio i tifosi si abbracciano, stringono sciarpe, alzano al cielo fotografie di Francesco sorridente. Alcuni intonano in coro il canto della squadra, altri pregano in silenzio. Le luci dei lampioni disegnano ombre lunghe sui marciapiedi umidi di rugiada.

In questo pezzo di Buenos Aires dove il tempo sembra essersi fermato, il Papa argentino, il Papa dei poveri, il Papa tifoso, ha ricevuto l’ultimo saluto di chi non ha mai smesso di sentirlo vicino. Non come una figura distante, ma come uno di loro. Un compagno di tifo, un fratello, un uomo che dalla fine del mondo aveva insegnato che il Vangelo, come il calcio, è una partita da giocare insieme.