Sergio Stumpo lancia l’allarme: «Fatturati bassi e scarsa competitività: manca un sistema consapevole che sostenga gli operatori per lavorare da maggio a ottobre. La Varia è uno spettacolo, ma va valorizzata»
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Una stagione sempre più breve e con un crollo verticale dei consumi, una totale mancanza di concertazione tra le parti coinvolte e una serie di progetti, come ad esempio i marcatori identitari, che non hanno portato nessun beneficio al sistema calabrese. È arrivato settembre, ripartono le attività ma soprattutto si inizia a fare un primo bilancio della stagione estiva: non è stata una grande estate e ce lo conferma Sergio Stumpo, uno tra i maggiori esperti di pianificazione dei sistemi turistici italiani.
Uffici in Italia e Uruguay, a Montevideo, dopo tantissime esperienze in Oman, Panama e tanti altri stati adesso sono al lavoro sulla pianificazione di destinazioni turistiche in Giamaica, Belize, Kyrgystan, Tajikistan, Guyana, Turks and Caycos e nei Caraibi, a Saint Vincent. Eppure, se gli chiedi se qualcuno dalla Regione Calabria lo ha mai chiamato, dice che «dopo tutto questo tempo nemmeno me lo aspetto, sinceramente, anche se sono sempre aperto al dialogo ed a dare un contributo». La prima domanda, quindi, è quasi obbligata.
Allora, che estate è stata?
«Da più parti, in diverse zone della Calabria, è uscito fuori un elemento fondamentale. Non tanto un calo delle presenze in se, ma fatturati decisamente più bassi. Son crollati i consumi: a differenza dell’immediato post Covid, in cui c’era meno gente ma con molta voglia di consumare e spendere, nonostante non siamo tornati ai livelli pre pandemia l’incremento c’è stato ma di gente che non voleva spendere. Per chi fa seriamente turismo questo è un problema serissimo: non voglio dire una banalità ma c’è stato un tuffo nel passato, quando chi veniva qui in Calabria al mare arrivava con la macchina piena e se ne andava con la macchina vuota senza portare valore aggiunto».
Una stagione deficitaria, quindi, per chi ha investito.
«Sicuramente non c’è stato l’overtourism di cui tanto si parla, la capacità di riempimento è ancora vastissima. Dobbiamo ricordarci che la stagione è maggio-ottobre: agosto ha sempre grandi numeri ma sulla stagione in sé ha poco impatto, tutti lavorano ad agosto. È stato pesante l’effetto del post Covid e delle crisi economiche: l’inflazione, i costi delle utenze, la mancanza di denaro delle famiglie hanno pesato tantissimo. A questo si è aggiunta la scarsa competitività della nostra regione, che non è così attrattiva da far decidere a qualcuno di venire a lasciare i suoi soldi lì da noi. Si è parlato tanto del successo dell’Albania, ma quello non è un caso, è un fenomeno di pianificazione da leggere con estrema attenzione».
Lo scorso anno si parlò tanto di Calabria: il grande concerto di Jovanotti ed il suo videoclip a Scilla e Gerace, Stanley Tucci, i grandi eventi, tante altre cose. Quest’anno qualcosa si è interrotto.
«Bisogna capire la differenza tra notorietà e attrattività di una destinazione turistica. Una destinazione può essere nota per un periodo perché c’è un grande evento, ma queste cose vanno storicizzate e accompagnate, devono essere durevoli: sennò chi va un anno da Jovanotti a Roccella l’anno dopo va da un’altra parte in Sicilia o Puglia. Serve scegliere un target e proseguire in questa logica, altrimenti non è strutturato, non si ha un posizionamento».
E qual è allora il posizionamento della Calabria?
«Ecco, il problema è proprio questo: la destinazione Calabria in questo momento non ha un posizionamento. Il motivo è che probabilmente ci siamo concentrati sul promuovere un prodotto ancora non competitivo. Forse dovevamo concentrarci molto di più su quello, sulla competitività: quando parlo di prodotto competitivo parlo del plus che io offro rispetto alle altre regioni, rispetto a quelle che hanno i miei stessi punti di forza. Questo valore aggiunto ancora non riusciamo a rappresentarlo, non sappiamo cos’è, non lo vedo. Tutti hanno mare e montagna, in misura più o meno presente, noi cosa abbiamo in più rispetto agli altri?»
A questo proposito, si è parlato tanto di marcatori identitari e di turismo delle radici. Potevano essere la strada giusta?
«Dal punto di vista scientifico, sul turismo delle radici ho visto i lavori di Sonia Ferrari e Tiziana Nicotera e mi pare abbiano un rigore scientifico e una serie di informazioni importanti: nessuno però le ha trasformate in azioni. Il fatto che ci sia un posizionamento sulla diaspora migratoria è una cosa che in tanti stanno facendo: noi ci stiamo lavorando in sette diversi stati del mondo ed è un punto a favore perché punta sulla vicinanza relazionale. Le faccio un esempio: dopo il Covid, era una forte molla perché c’era un elemento di fiducia, io mi fido dei miei parenti o delle persone che conosco che vengono dall’estero. Mancano però le azioni pratiche: noi ad esempio, negli stati in cui lavoriamo, abbiamo attuato un deprezzamento dei costi dei voli in ingresso dalle località delle cosiddette radici, pacchetti specifici, altre azioni. Da noi la seconda fase di azioni semplicemente non c’è stata, alla teoria non è seguita la pratica».
I marcatori identitari, invece, cosa sono?
«Guardi, parlare di marcatori identitari senza parlare di prodotti turistici, senza affiancarci nulla, è un servizio teorico che non serve. Qual è il livello dei marcatori? Manca lo sviluppo. Prendiamo Pitagora: noi vorremmo essere noti in tutto il mondo per la casualità di una persona che è nata e vissuta a Crotone. Quello sarebbe un marcatore? Noi stessi calabresi conosciamo poco Pitagora, non è un prodotto turistico. A Crotone ci sono elementi turistici legati a Pitagora? Sembra la sindrome di Grimilde, che si guarda allo specchio e dice che è la più bella. Ma cosa significa dal punto di vista della filiera economica del turismo? Vi faccio un esempio: il Codex Purpureus è di una bellezza sconvolgente, ma in quanti cataloghi turistici è? Il turismo è un’operazione commerciale, non è solo evidenza della bellezza. In quella zona, vi è una struttura turistica che ha 2.500 posti letto, che eroga 7500 pasti al giorno, ovvero 7 milioni e mezzo di pasti in 100 giorni, i tre mesi della stagione: solo per aprire, però, ha un costo di 280 mila euro. Come facciamo a dire a questo imprenditore di tenere aperto perché forse a novembre arriverà qualche comitiva di turisti sessantenni per vedere il Codex?».
Insomma, i marcatori sono solo un esercizio teorico ma manca tutto il resto...
«Ma certo. Si fa un gran parlare di Lochness come esempio, ma parliamo di due cose nemmeno lontanamente paragonabili. Lochness è la località turistica mondiale che ha il posizionamento più alto in termini di percepito e acquistato. Ma l’ecosistema lì è pronto, è maturo: quando fai una domanda, chiunque ha il parente che ha visto una volta Nessie, che ha la barca rotta dal mostro. L’ecosistema ha recepito l’attrattore, ci hanno lavorato tutti. Conoscete un calabrese che dice di essere nipote di Pitagora? È la pianificazione che fa la destinazione. A inizio estate è stata diffusa la notizia che c’è uno studioso che sta facendo ripartire la campagna di studi, ed è uscito su tutti i giornali del mondo: ne hanno fatto una promozione mondiale nel momento in cui si inizia a lavorare alle prenotazioni autunnali, quando tra settembre e ottobre la nebbia autunnale fa aumentare il mito. Quello è il lancio di un’operazione commerciale, senza però parlare di turismo: vedete la differenza?
Quindi i nostri marcatori non servono a nulla, se fatti così?
«Mettiamola così, ora non sono turisticamente rilevanti. La Varia di Palmi, ad esempio, è fantastica ma non ha un posizionamento turistico commercializzato nonostante abbia una narrazione fantastica. Nessun broker ti dice “Vieni a Palmi per la Varia”, nessun albergatore quando arrivi ti racconta che loro sono mbuttatori da generazioni. La narrazione c’è ma devi costruirla e devi rendere consapevole l’ecosistema. Quando arrivo nell’hotel in Calabria devo trovare la foto della Varia, non dello skyline di New York».
Insomma sembra che ogni volta manchi qualcosa, che sbagliamo i tempi: su cosa deve puntare la Calabria e quando deve farlo?
«Serve una programmazione seria basata sulla competitività e sui dati, non su elucubrazioni. Bisogna aprire un forte dialogo con il sistema produttivo, con chi spende per aprire le serrande e le porte degli hotel la mattina. Dobbiamo ragionare su un anello mancante, le agenzie di incoming, che trasformano e mettono tutto sul mercato identificando dei prodotti. Servono strumenti per essere competitivi. Volevo far fare due giorni di vacanza a mia moglie in Calabria, dopo anni: il sito suggeriva un numero di telefono che suonava a vuoto, ho mandato una mail e nessuno mi ha risposto. Non servono marcatori, bisogna proprio lavorare sulla formazione dell’ecosistema.
In questi giorni ha fatto scalpore il cartello di un ristoratore nel Tirreno cosentino che recitava “Chiusi per ferie dal 3 al 9 settembre”. Quindi la stagione finisce il 31?
«Le imprese turistiche devono trasformare l’ospitalità in euro: probabilmente la persona ha valutato che il gioco dopo il 31 non vale la candela e quindi meglio portare la famiglia in vacanza una settimana prima che inizi la scuola. La guardi da operatore, e non da turista, da fruitore: le aziende devono condividere linee, strategie e programmazione con gli operatori pubblici. È andato qualcuno a dirgli “A settembre aperti che arrivano spagnoli e tedeschi”? Ha dei dati sui flussi in arrivo o è abbandonato a se stesso? Se nessuno dialoga con me, io ragiono in base alle mie tasche ed alle mie entrate. Mettiamo il caso che il prossimo anno si decide di investire, che so, sul pino loricato: magari il barista si inventa il cornetto a forma di pino, i ristoranti dei menu a tema, una guida le escursioni. Ma si preparano per tempo. Se tu il venti di agosto mi vieni a dire che il 22 arrivano 200 turisti per i pini loricati, io cosa posso farci? Neanche le calamite. Peggio ancora quando prometti qualcosa e non la fai, magari fai fare investimenti che non ritornano perché non hai mantenuto la tua promessa».
Insomma, se non si parlano gli attori diventa difficile…
«Ma certo: la tendenza è quella di mantenere i turisti nei villaggi ed è difficile lavorare ad una visione diversa di Calabria da promuovere, perché non c’è un coordinamento. Non ho mai visto a Rimini una campagna sui Malatesta, eppure non posso certamente dire che non valgono nulla. Semplicemente, sono consapevoli del fatto che il milione di arrivi al giorno non lo generano i Malatesta, ma altro, quindi diventano un prodotto follower e non il prodotto principale. In Calabria come diversifichi? Mancano centri fieristici e congressuali, i nostri posti letto dipendono da moltissimi villaggi ma da pochissimi hotel, quindi la tua offerta è vincolata da questo. Abbiamo strutture ad altissima vocazione balneare, quindi non puoi vendere altro rispetto a quello al momento. Non riempi un villaggio con un marcatore, con nessuno di quelli dell’elenco, dunque nonostante il valore culturale elevatissimo turisticamente, a livello di mercato proprio, non sono rilevanti».
Alla fine, dove hai passato le vacanze quest’anno?
«Quest’anno ho viaggiato tantissimo e dopo 15 anni non mi sono mosso dalla Calabria. È stato un grande tuffo nel passato, purtroppo: non ho visto nessun cambiamento, e fa davvero male».