Ci sono uomini che appartengono a luoghi vissuti per generazioni, scambi sospesi di sguardi e sussurri inanimati, muri antichi che trasudano sentimenti vecchi di secoli. La bottega di Pasquale Cortese, incastonata nel centro storico di Tropea, è uno di questi posti, quasi un luogo dell’anima. Dall’800 il piccolo negozio di “alimentari e diversi” fa bella mostra di sé in Largo Mercato, andando a colorarne i palazzi nobiliari stonacati e claudicanti per il peso degli anni. Questo piccolo scrigno di storie e vite tropeane e non, da domani non ci sarà più. Dopo 57 anni di onorata carriera, infatti, Pasquale, classe 1938, ha deciso di chiudere definitivamente la partita Iva più antica della provincia di Vibo Valentia: «Per gestire un negozio – ci spiega - ci vuole cervello e io nell’ultimo periodo non ce la facevo più».

 

Una vita vissuta all’unisono con la sua “puticha”, considerata quasi un membro della famiglia: «A dir la verità un po’ mi dispiace, a volte ci parlavo anche con il negozio. Sento un po’ di nostalgia, non dell’attività, ma del negozio in sé, anche se oggi mi alzo quando voglio, vado al mare con mia moglie, insomma mi sto godendo il meritato riposo».

 

Sentimenti inevitabili dopo decenni trascorsi dietro quel bancone: «Era il 1951 – ci racconta questo arzillo 82enne -, avevo tredici anni e un giorno mio nonno, proprietario del negozio, mi chiamò mentre giocavo nella piazzetta qui di fronte: “Vieni qui, stai qui con me”, mi disse ed è cominciata così, mi sono subito affezionato». Un periodo difficile per il paese, quello, desideroso di lasciarsi alle spalle le macerie della Seconda guerra mondiale: «Quando entravo qui c’erano i cassetti pieni di soldi, quei fogli da 10mila lire grandi grandi, e quindi tutta quella roba mi ha invogliato a starci».

 

Una carriera cominciata ufficialmente nel 1963, quando la licenza passò definitivamente a un giovane Pasquale: «All’epoca vendevamo di tutto: alimentari, semenze, candeggina, e qui dentro era sempre pieno di gente. Poi, dopo qualche anno, è arrivato il turismo, all’inizio non capivamo niente con i tedeschi, però piano piano abbiamo imparato qualche parola e riuscivamo a farci capire». Un rapporto speciale, quello con i suoi clienti: «Ancora oggi i turisti mi inviano lettere da tutte le parti del mondo, perché per me non erano clienti, ma amici: dopo tutto quel tempo ero quasi uno psicologo per loro».

 

Orgoglioso ci mostra le foto dei suoi affezionati avventori: «Quello è Thorn di Beautiful, una foto che mi è costata un panino con la mozzarella», ci dice ridendo. E con altrettanta fierezza illustra i quadri appesi sul bancone: «Questi li ha fatti tutti mia moglie, che mi ha anche regalato quattro figlie: sono contento di averle avute tutte femmine e oggi mi godo i nipoti, due femmine e quattro maschi, quelli che non ho fatto io li hanno fatti loro».

 

Ci salutiamo mentre abbassa per l’ultima volta la saracinesca e con un filo di voce ci dice: «Un po’ mi dispiace ma non ho rimpianti, nella vita non ho dovuto rinunciare a niente, alla fine questa è stata la mia seconda casa». Che da domani non ci sarà più. E un altro frammento di storia tropeana andrà a riempire gli spazi vuoti della memoria.