Dati e statistiche del Rapporto Ismea. Cala la quota di mercato dei punti vendita tradizionali. Come sono cambiati gli acquisti nel pre e post emergenza Covid-19 e con il forte aumento dei prezzi
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Le famiglie del Sud Italia acquistano e consumano più pesce (molluschi e crostacei compresi) rispetto a quelle che vivono nelle altre macroaree del Paese. Il Rapporto Ismea 2023 sui “Prodotti ittici”, che ha analizzato dati e statistiche relativi all’anno precedente, ci offre il seguente quadro: mediamente un nucleo familiare del Mezzogiorno nel 2022 ha comprato 24,4 chili di pesce, molluschi e crostacei, a fronte dei 23,3 Kg del Centro, dei 21,5 del Nord Ovest, dei 21,2 del Nord Est. E si tenga presente che rispetto al periodo pre-Covid (media 2018-2019) il Sud ha avuto un decremento pari all’1,2%, mentre il Nord-est ha registrato un incremento del 7,5% e il Nord-ovest del 3,3, a fronte di un superiore calo del Centro (-2,3%). In un confronto con il 2021, invece, tutte le macroaree del Belpaese hanno scontato forti diminuzioni, molto probabilmente a seguito della perdurante crisi economica e del generalizzato aumento dei prezzi: Centro (-9,1%), Nord-ovest (-7,1%), Nord-Est (-6,7%), Sud (-6,6%). L’indice dei prezzi al consumo per alimenti e bevande da gennaio a dicembre 2022 è passato, infatti, da 109,5 a ben 122,2 (fonte Istat). La spesa degli Italiani – ha precisato Ismea – è cresciuta ad un tasso inferiore all’aumento dei prezzi, per cui si può dedurre che i volumi acquistati siano mediamente scesi di almeno 2-3 punti percentuali. Tant’è che è stata coniata la felice espressione: “Cresce la spesa ma si alleggerisce il carrello”.
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I consumi di prodotti ittici di una famiglia al Sud è stato superiore del 15% - ha sottolineato Ismea - rispetto a quelli di una del Nord-est. Perché le famiglie del Sud, nonostante la forte differenza in termini di Pil e di reddito pro capite rispetto ai connazionali del Centro-Nord acquistano e consumano maggiori quantità di pesce, crostacei e molluschi? Si tratta, essenzialmente, ma questo è un nostro giudizio, di stili di vita radicati, di tradizioni gastronomiche (anche durante le festività religiose), di culture marinare più antiche e consolidate, di una maggiore e naturale propensione a uniformarsi alle regole della Dieta Mediterranea.
Nel 2022, considerando il totale degli acquisti per alimenti, mediamente i residenti del Belpaese hanno dedicato la porzione principale del proprio budget ai derivati dei cereali (14,4%), a latte e latticini (13,5%), a bevande alcoliche e analcoliche vino compreso (11,6%), alle carni (10,7%), agli ortaggi (10,2%), alla frutta (8,7%), ai prodotti ittici (8,0%), ai salumi (6,3%), a oli e grassi vegetali (1,8%), a uova fresche (1,1%), ad altri prodotti commestibili (13,6%). Tra questi comparti, la dinamica degli acquisti in valore, elaborata sempre da Ismea, ci dice che il pesce nel 2022 ha subito un decremento dell’1,8% a fronte di consistenti aumenti per derivati dei cereali (+11,6%), oli e grassi vegetali (+16,7%), bevande analcoliche (+12,4%), carni (+9,9%).
Sempre nell’anno preso in considerazione dal Rapporto, gli Italiani hanno acquistato, nel loro complesso, poco più di 572mila tonnellate di prodotti ittici, con un calo del 7,6% rispetto alla punta di 619mila tonnellate del 2021, e ritornando sostanzialmente ai valori pre-Covid del 2019 (571mila tonnellate). Ma come si è suddivisa questa spesa? In volumi acquistati il 47% va al pesce fresco, il 24% alle conserve ittiche (si pensi, ad esempio, a tonno, acciughe, sardine, sgombri…), il 20% a surgelati confezionati, il 5% ad affumicati e secchi (si guardi al prevalente salmone, al pesce spada, allo stocco…), il 4% ai surgelati sfusi. In valore la quota del fresco sale al 51%, e pesa di più anche l’affumicato (9%), mentre le conserve scendono al 21%, i surgelati confezionati al 15%. In termini di valore nel 2022 si è speso l’1,8% in meno rispetto al 2021 che invece, così come il 2020, aveva segnato un incremento superiore al 6%.
A questo punto Ismea fa presente che in termini di volumi assoluti misurati in tonnellate il segmento “fresco” è quello che ha subito la maggiore contrazione, calando di oltre dieci punti percentuali (-10,7) dopo tre anni consecutivi di crescita tra i quali un +9,4% del 2021 sul 2020. Le 266mila tonnellate del 2022 si sono quasi riportate al dato pre-Covid del 2018 (260mila). Interessante notare che le conserve ittiche hanno mantenuto i livelli del 2021 (139mila tonnellate con un modestissimo calo dello 0.1%), allontanandosi però dalla fase dell’emergenza Covid-19 che indusse ad un accaparramento di scorte casalinghe: +4% nel 2020 giungendo a quota 146mila tonnellate. Analogo ragionamento per i surgelati, passati dalle 126mila tonnellate del 2020 alle 113mila del 2022 (contrazione dell’8,1% rispetto al 2021). Forte ridimensionamento per gli affumicati e secchi: -11,4% nel 2022 rispetto al 2021, con netta differenza rispetto ai tre consecutivi aumenti del triennio 2019-2021. Riassumiamo le performance 2022 in Italia dei singoli segmenti merceologici: pesce fresco 266.351 tonnellate; conserve ittiche 139.797 tonnellate; surgelati 113.890 t.; affumicati e secchi 27.485 t.
Solo un accenno alla dinamica degli acquisti dei prodotti ittici per canale distributivo. In volume i supermercati nel 2022 hanno conquistato quasi un quarto del totale, e cioè il 24%. A seguire gli ipermercati (23%), i tradizionali (23%), i discount (17%), i liberi servizi (cosiddetti superette, 13%). I canali tradizionali hanno subito una contrazione del 6,4% sul 2021. Nella distribuzione organizzata si segnala una generalizzata decrescita: supermercati (-8,5%), Ipermercati (-6,5%), discount (-5,6%). Aumentata la quota del libero servizio: +3,6%.
Chiudiamo con qualche numero sul segmento fresco. Nel 2022 sul totale di acquisti ittici il 63% ha riguardato i pesci, il 28% i molluschi, il 9% i crostacei. Comparti tutti in calo, tra il 7,5 e il 9,9%, sul 2021. C’è da segnalare, purtroppo, ma era prevedibile, che le famiglie ad alto reddito hanno consumato il 41% in più di specie ittiche fresche rispetto a quelle a basso reddito. Questa la suddivisione: alto reddito (16,1%), reddito medio (13,9%), reddito medio-basso (12,7%), basso reddito (11,4%). Inoltre nel periodo post-Covid tutte le famiglie tranne quelle ad alto reddito hanno ridimensionato il consumo di pesce fresco. E questa non è una bella notizia in quanto segnala l’aumento di differenze sociali nel Paese, anche se apre potenzialmente importanti spazi di mercato per il pesce azzurro e ancor di più per il cosiddetto “pesce povero”, in verità molto ricco sia sul piano nutrizionale sia su quello organolettico e del gusto.