Cresce in tutta la Regione il malcontento dei dipendenti del Consorzio regionale per lo sviluppo delle attività produttive, istituito nel 2016 dal presidente della Regione, Mario Oliverio. Il Corap fu creato per accorpare i consorzi Asi di Catanzaro, Cosenza, Crotone, Vibo Valentia e Reggio. Nelle intenzioni iniziali il nuovo ente avrebbe dovuto dare nuova linfa al sistema produttivo calabrese, invece ha finito per appesantire le casse pubbliche. Troppi i debiti accumulati e troppi i crediti non riscossi, che hanno portato a una situazione di paralisi.

 

«Lavoriamo senza che ci paghino gli stipendi – dice amareggiata una dipendente – e senza neppure i soldi per la gestione ordinaria dell’ente».
I 107 dipendenti sparsi nelle cinque province sono senza stipendio da 4 mesi, impossibilitati a far fronte alle mansioni quotidiane più basilari per la carenza di banali strumenti d’ufficio, dalla carta al toner per le stampanti. Persino le linee telefoniche non funzionano.
E così stamattina, davanti alla sede di Vibio Valentia, i 27 lavoratori in organico, da settimane in stato di agitazione, hanno organizzato un sit-in dinnanzi, non solo per rivendicare i loro diritti, ma soprattutto per mettere in guardia la politica sugli effetti catastrofici che un blocco dell’attività potrebbe arrecare alla collettività. Tra i compiti del Corap, infatti, c’è anche la gestione dei depuratori che servono i centri di Bivona, Vibo Marina, Longobardi e Porto Salvo. «Se non ci mettono nelle condizioni di lavorare, come facciamo a gestire questi servizi essenziali?», si chiedono.

Dai manifestanti vibonesi è arrivato anche un appello rivolto a tutti i colleghi calabresi in stato di agitazione: «Dobbiamo essere uniti in questa battaglia e lottare fino alla fine per salvaguardare il nostro posto di lavoro».
Sul banco degli imputati mettono il governatore Oliverio, colpevole - a loro dire - di averli abbandonati.
Intanto, il primo aprile, i lavoratori vibonesi del Corap incroceranno le braccia. «Solo allora, forse, si accorgeranno di quanto sia importante il nostro lavoro», affermano. E solo allora, forse, la politica sarà costretta ad accorgersi di questi 107 lavoratori e delle loro famiglie, che rischiano di restare senza reddito.