L’allarme del Comitato promotore per la coltivazione dei finocchi: «Piove e patiamo i danni delle alluvioni, e poi, per scelte discutibili del passato, d’estate ci ritroviamo senza un goccio d’acqua»
Tutti gli articoli di Economia e lavoro
PHOTO
Piove, ma in Calabria manca l’acqua per l’agricoltura. A lanciare l’allarme è il Comitato promotore per la produzione dei finocchi di Isola Capo Rizzuto, in rappresentanza di circa un centinaio di piccole e medie aziende del territorio, impegnate nella coltivazione dell’eccellenza erbacea su una superficie complessiva di oltre 4.000 ettari.
Produzioni a rischio
A destare preoccupazione, dati alla mano, le previsioni per l’immediato futuro. «Da 10 anni a questa parte – osserva il Comitato – le cose vanno sempre peggio. Nel 2020, solo grazie all’intervento decisivo della Regione, siamo riusciti ad ottenere in extremis quanto occorrente, ma ora il problema si ripropone, in maniera drammatica: temiamo che già a luglio la società concessionaria delle risorse idriche possa chiudere i rubinetti per esaurimento dello stock a nostra disposizione».
Un’eventualità che, qualora dovesse verificarsi, avrebbe effetti catastrofici, lasciando a secco nel mezzo della stagione estiva agricoltori e colture, con danni incalcolabili che solo nell’area di Isola Capo Rizzuto potrebbero arrivare a toccare i 30 milioni, azzerando le produzioni di mais, pomodori, angurie, grano e peperoni e mettendo in serio pericolo anche la successiva campagna del finocchio, proprio nel momento più propizio dell’arrivo del riconoscimento del marchio di qualità. «È un paradosso difficile anche solo da raccontare: piove e patiamo i danni delle alluvioni, e poi, per scelte discutibili del passato, d’estate ci ritroviamo senza un goccio d’acqua. È chiaro che così non si può andare avanti».
L'appello
Da qui il grido d’aiuto all’indirizzo delle istituzioni: «I sindaci, la Provincia, i parlamentari, la Regione ci stiano vicini: facciano rete e ci sostengano in questa battaglia, che non è solo nostra o di un territorio, ma della Calabria, di un’economia reale che produce occupazione». In caso contrario, lasciano intendere dal Comitato, non si potrà fare altrimenti che ricorrere a forme eclatanti di protesta, senza escludere la via che porta all’ipotesi estrema ma purtroppo presente: chiudere le aziende ed azzerare migliaia di posti di lavoro ed un intero settore ormai parte dell’identità agroalimentare calabrese.