«Servono misure che nel medio-termine liberino l’Italia da una dipendenza energetica inaccettabile. Penso all’estrazione di gas naturale, penso che le risorse nazionali vadano utilizzate come chiede l’Europa». Così il presidente del consiglio Giorgia Meloni ieri al Senato ha illustrato le direttrici per il contrasto alla crisi energetica.

Una crisi che sta mettendo in ginocchio imprese, comuni e famiglie. La strada che disegna la Meloni dunque è, per quanto possibile, quella di una sorta di autarchia energetica visto che oggi l’Italia ha il secondo peggior sbilanciamento elettrico mondiale (inteso come differenza tra importazione ed esportazione di energia elettrica) e dipende dalla Russia per il 45% del totale del gas importato.

Serve quindi vincere le resistenze che hanno impedito sinora di sviluppare le fonti energetiche alternative che in Calabria sono ancora poco sviluppate. Lo si desume facilmente leggendo i report che ogni anno compila Terna sulla produzione elettrica. Secondo i dati relativi al 2021 abbiamo una produzione totale di 15.766 Gwh, decisamente superiore a quelli che sono i consumi interni che si attestano intorno ai circa 5mila Gwh. Il surplus però viene immesso nella rete elettrica nazionale senza apparenti benefici nelle bollette dei calabresi. Ma non è solo questo il problema, l’altro è da dove si ricava questa produzione. Leggendo le tabelle di Terna, che è proprietaria delle reti di distribuzione, gran parte dell’energia che si produce in Calabria arriva dalle quattro centrali a gas presenti in Calabria.  

Simeri Crichi e Altomonte sono gestite dalla Edison, Rizziconi dalla Egl Italia e Scandale dalla Ep Produzione. Siamo quindi in una sorta di imbuto con l’energia che si produce solo grazie al gas e quindi questo tipo di produzione è estremamente legata alla volatilità (verso l’alto purtroppo) del prezzo del prezioso elemento.

Siamo invece molto indietro sulle produzioni di energia alternativa. I dati di Terna, infatti, ci dicono che per il fotovoltaico la produzione è pari a 660 GwH pari al 4,2% della produzione totale; l’idroelettrico vale 1033 GwH pari al 6,6% ed infine l’eolico che produce 2204 Gwh pari al 14% della produzione totale. Possiamo dire quindi che anche in Calabria c’è una sorta di sbilanciamento energetico con oltre il 75% della produzione che arriva dalle centrali termoelettriche.

La regione dunque, ad oggi, non è riuscita a sfruttare le sue risorse naturali come avviene in altre regioni. Se guardiamo ad esempio al Trentino Alto Adige, lì la produzione elettrica è prodotta per oltre l’83% dall’idrico, mentre il fotovoltaico incide per il 4% sulla produzione totale, praticamente come la Calabria che forse un po’ di sole in più lo ha rispetto alle regioni del Nord.

Il presidente Roberto Occhiuto lo scorso ottobre ha dichiarato che la Calabria sfruttando anche l’idroelettrico «potrebbe avere l’autosufficienza solo da fonti rinnovabili e pulite». Sarebbe la soluzione ideale, per calmierare i prezzi di gas e elettricità. Ma la strada da fare è ancora tanta come sanno tutti quelli che hanno installato un impianto fotovoltaico e poi hanno dovuto penare per ottenere l’autorizzazione a sfruttare in proprio l’energia prodotta. Poi ci sono anche le distorsioni che spesso caratterizzano la nostra regione.

In Calabria ci sono decine di comuni con impianti fotovoltaici fuori uso o mai messi in funzione, scuole con impianti fotovoltaici sul tetto (fuori uso) e caldaia a gasolio per il riscaldamento, province fallite che non pagano l'energia elettrica ma con impianti fotovoltaici spenti. L’esempio più clamoroso forse sono gli impianti fotovoltaici montati sul tetto dell'ospedale di Cetraro. Nel 2011, l’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza aveva richiesto e ottenuto finanziamenti comunitari tratti dal Por Calabria/Fers 2007-2013, asse II energia, linea Intervento 2.1.1.1, per la realizzazione di un impianto termodinamico a concentrazione solare – progetto Prometeo – che avrebbe dovuto produrre energia termica ed elettrica per il presidio ospedaliero di Cetraro. Inizialmente, il progetto prevedeva l’installazione dell’opera sul tetto dell’edificio. In fase realizzativa, tuttavia, venne disposta una variante progettuale con la quale veniva stabilito che le parabole avrebbero dovuto essere posizionate a terra, su un terreno di circa 3.000 metri quadrati di proprietà dell’ASP e adiacente all’ospedale.

Per tale operazione, tuttavia, sarebbe stato necessario ottenere le prescritte autorizzazioni edilizie, paesaggistiche e sismiche, che non risultano mai essere state richieste e quindi l’impianto non è mai entrato in funzione dopo che l’Asp ha speso una cifra quantificata dalla Corte dei conti in quasi due milioni di euro.

Una storia molto simile è accaduta anche all’ospedale di Tropea, anch’esso beneficiario degli stessi finanziamenti comunitari del nosocomio di Cetraro. Nel caso del presidio vibonese, l’opera, costituita da 35 “ombrelli” fotovoltaici (concentratori solari) per la produzione di energia elettrica e da quattro apparati a cogenerazione è stata realizzata non solo in assenza dei prescritti permessi a costruire che avrebbe dovuto richiedere al Comune di Tropea, ma addirittura senza nemmeno denunciare preventivamente l’esecuzione dei lavori al Genio Civile. Anche qui dalla Corte dei Conti è stato ipotizzato un danno erariale per 967.310,13 euro.

Non si tratta purtroppo di casi isolati ma in moltissimi comuni della Calabria esistono pannelli solari installati, magari contraendo anche mutui abbastanza salati e mai messi in funzione. Situazioni simili esistono a Crotone, Gioia Tauro, Falerna giusto per fare qualche esempio. Serve allora una sorta di rivoluzione culturale, basti pensare alle polemiche che stanno accompagnando il Parco Eolico Offshore da realizzare nel Golfo di Squillace tra i comuni di Crotone e Monasterace. Oppure alla controversa convenzione che la Regione ha stilato con A2A per la gestione degli invasi silani. Ma la rivoluzione deve avvenire soprattutto nella Pubblica amministrazione. I sindaci non si possono limitare ad avanzare ipotesi estemporanee come spegnere le luci stradali, ridurre l'orario delle scuole ed uffici o chiedere al nuovo Governo fondi per pagare le bollette.

Serve riattivare con attenzione le fonti di energie rinnovabili che già abbiamo e magari anche razionalizzare la spesa elettrica nella Pubblica amministrazione visto che un recente report del ministero parla di 3,2 milioni di dipendenti, 32mila enti e circa 1,2 milioni di edifici che continuano ad avere impianti di riscaldamento a gasolio. Non solo ma spesso a questo si accompagna un’illuminazione degli uffici "a giorno" h24 con corpi illuminanti ormai superati, centinaia di metri quadri sui tetti non coperti da fotovoltaico pur avendo avuto possibilità di realizzare impianti a costo zero, coibentazione degli edifici scarsa. Su tutte queste cose bisogna intervenire se vogliamo evitare di passare un freddissimo inverno.