Due lauree, la passione per la storia, l’amore per il territorio. In campagna come in cantina nulla è lasciato al caso. Tanto lavoro, sacrifici e passione
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Raggiungo Pasquale Iuzzolini a Cirò Marina, nella grande cantina adagiata tra vigneti che si affacciano sulla Statale jonica 106 e che guardano il mare. Saliamo a bordo di un pick up e raggiungiamo le colline vitate che dominano il paesaggio cirotano, il più importante in Calabria per dimensioni, storicità, numero di aziende vitivinicole attive e addetti. Il vino a Cirò, Cirò Marina e Melissa è un’economia vera, fatta di grandi e piccole aziende, di una biodiversità unica a partire dal mitico Gaglioppo, vitigno autoctono a bacca nera, o dal Greco bianco. Una miriade di etichette, tra quelle più affermate e le nuove proposte, declina in vario modo sia il gusto della tradizione sia la sfida dell’innovazione.
Pasquale Iuzzolini ha due lauree e si occupa anche di ricerche storiche. Quando mi racconta che sta completando un complesso lavoro sul Catasto Onciario di Cirò resto oggettivamente sbalordito. Mi avvolge anche un po’ di commozione perché la mente va subito a mio padre Francesco, storico e letterato, studioso tra l’altro del Settecento meridionale e che in un saggio sulla Marina di Catanzaro pubblicò alcune pagine sulle risultanze del riordino fiscale ideato da Bernardo Tanucci per volere di re Carlo di Borbone. Pasquale Iuzzolini è un intellettuale prestato alla vigna e al vino, o un vignaiolo prestato alla storiografia? Quando lo vedo passeggiare tra i filari intento a spiegarmi passo passo le caratteristiche di questo o quel pendio, dei terreni, delle diverse varietà di vite, delle forme dei grappoli, del clima cangiante e del rapporto indissolubile con la risorsa acqua mi convinco che la chiave di lettura della sua personalità è l’amore per il territorio. Ad un certo punto mi dice: «Guarda in alto, quello è l’abitato di Cirò: i nostri vigneti sono per la grandissima parte compresi nell’area Doc». Stiamo parlando di decine e decine di ettari, curati in modo esemplare, perché solo dal lavoro serio e qualificato in vigna si potranno ottenere vini di prestigio.
Pasquale, quanto credi nella forza del tuo territorio?
«Per me il territorio, la sua storia, il suo suolo, questa meravigliosa esposizione alla luce e ai raggi del sole, la vicinanza del mare, i saperi dei nostri tecnici e contadini sono un tesoro inestimabile. I nostri vini sono figli di questa terra, di quest’area Doc del Cirotano. Io sono in vigna ogni giorno, guarda quanti addetti ci sono in questo momento al lavoro. Ognuno ha il suo compito che svolge con dedizione e competenza».
Il lavoro, certo. Il Gruppo Iuzzolini che oltre all’omonima Tenuta governa anche la Fattoria San Francesco, dà occupazione regolare a tanti calabresi. Oltre un centinaio di famiglie vive grazie alle attività vitivinicole di un gruppo che è diventato il più grande della regione, forte di etichette amate dai consumatori: Donna Giovanna (Greco Bianco in purezza da vendemmia tardiva), Maradea (Gaglioppo, Cirò rosso classico superiore riserva), Paternum (Magliocco dolce), Lumare (profumatissimo rosato di Gaglioppo con un tocco di Cabernet Sauvignon), Madre Goccia (bianco amatissimo che nasce da un blend di Greco bianco e Chardonnay), Muranera (due vitigni autoctoni, Gaglioppo e Magliocco, e due internazionali, Cabernet Sauvignon e Merlot), Artino (rosso da Gaglioppo e Magliocco). Per passare ai gioielli di Fattoria San Francesco: Donna Rosa (rosato di puro Gaglioppo), Duca dell’Argillone (Gaglioppo, Cirò Doc rosso classico superiore riserva), Bianco di Sale (Pecorello in purezza).
Pasquale i vitigni autoctoni sono ancora attuali?
«Stiamo chiacchierando proprio in un quadrante di ettari dedicato a vitigni autoctoni: ecco il Gaglioppo, lì invece c’è Greco bianco. Ci credevo e ci credo perché rappresentano l’anima della nostra civiltà contadina, si sono tramandati di generazione in generazione. Certo oggi siamo forti di tecniche agronomiche molto avanzate, cui si aggiunge un’elevata capacità di gestione, in cantina, della pigiatura, della vinificazione e dell’affinamento. Penso alle temperature controllate, alla filtrazione che in modo naturale ci consente di abbattere molto al di sotto dei valori autorizzati il livello dei cosiddetti solfiti, ai passaggi in legno con barriques e botti di primissima scelta e a tanti altri momenti che rispondono a cognizioni scientifiche adeguate. Potrei dire che siamo legati alla tradizione con il cuore e alla modernità con la mente, una simbiosi necessaria e vincente».
Parli con orgoglio del lavoro che svolgete con i tuoi fratelli, Antonio e Rossella…
«Orgoglio è il termine esatto. Sapessi quanti sacrifici, quanto lavoro, quanta dedizione. Siamo sempre qui, dalla mattina alla sera, a controllare ogni aspetto di una filiera produttiva delicatissima. I vini di qualità non sono un prodotto industriale che puoi ottenere in pochi giorni assemblando quattro ingredienti. Quando degusti una delle nostre etichette, e non solo le migliori, sappi che dietro ci sta un lavoro, a partire dalla programmazione del vigneto, di almeno 5 o 6 anni. È quasi come allevare un bambino: lo vedi nascere e lo accompagni giorno dopo giorno alla prima campanella a scuola. Lì avrà le sue prime verifiche. Perché i consumatori che acquistano i nostri vini sono per noi il traguardo finale. Io e i miei fratelli lavoriamo come fossimo un'orchestra».
Pasquale non è quindi un luogo comune affermare che i vini buoni nascono in vigna...
«No, anzi, è proprio così. Osserva attorno a te quanto lavoro si sta facendo in vigna, e siamo ai primi di giugno. Da qualche anno ormai, lottiamo anche contro i cambiamenti climatici repentini, le temperature sempre più elevate. Abbiamo dovuto scavare pozzi fino a circa duecento metri per recuperare l’acqua necessaria per combattere la siccità. In vigna puntiamo ad ottenere rese ottimali: rinunciamo a tanta quantità per avere maggiore qualità che si ottiene mantenendo basse le rese ad ettaro. Stabiliamo con meticolosa attenzione il momento della vendemmia, tenendo conto delle caratteristiche genetiche del vitigno e del clima che muta di anno in anno. A proposito ti aspetto per la vendemmia!».
Un’ultima domanda: seguite anche i cambiamenti di gusto dei consumatori?
«Senz’altro. I nostri rossi importanti, corposi ed eleganti, continuano ad essere un punto di riferimento primario. Ma abbiamo dato grande spazio anche ai bianchi e ai rosati, e persino ai frizzanti. Il profumo avvolgente dei nostri rosé è proverbiale, così come sono davvero molto pregiate le caratteristiche organolettiche dei nostri bianchi. Il pubblico si è avvicinato molto ai vini più leggeri, non solo da pasto ma anche per accompagnare aperitivi, apericena, spuntini. Resta però solido il comparto dei rossi: il successo del Maradea, del Paternum e del Muranera lo testimoniamo. Qualche chef li usa anche per dar vita a primi o secondi piatti deliziosi. Ora andiamo in cantina perché ti aspetta mio fratello Antonio per parlarti di degustazioni e ospitalità».