VIDEO | La rabbia e il dolore del 42enne: «Abbiamo resistito per mesi adesso siamo allo stremo. Dovrò vendere il mio locale»
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Ci attende davanti al suo locale dismesso da circa un anno. Vuol mostrarci come la crisi economica innescata dal Covid ha ridotto il suo ristorante. Vuol mostrarci come la pandemia ha ridotto un padre. È lui l’autore della lettera che ha commosso e fatto riflettere. Le sue parole cariche di rabbia e disperazione hanno colpito il cuore dei calabresi: «Da troppi mesi ormai- scriveva – il mio desiderio quotidiano è che le giornate siano il più breve possibile e allo stesso tempo che non comincino affatto». Uno sfogo che Francesco Ranieli – 42 anni, figlio di un ex parlamentare, proprietario del ristorante Tipik, nel centro storico di Vibo Valentia – ha scritto in preda allo sconforto. L’angoscia di un padre che da mesi ogni mattina si sveglia e si domanda: “Cosa Faccio?”
La disperazione di Francesco in una lettera
Come faccio la spesa oggi? Cosa do da mangiare a mio figlio? Come posso procurarmi una banconota anche solo di 20 euro? Caspita, come rinnovo la polizza alla macchina? Che dico a quello della Banca quando chiamerà per l’insolvenza della rata del mutuo? Che dico a quello della Finanziaria quando chiamerà per la rata della macchina? Che cosa dico all’Enel? Cosa dico all’Inps e all’Agenzia delle Entrate? Cosa dico all’Amministrazione comunale quando mi inoltrerà la tassa sui rifiuti e l’Imu? Cosa dico a tutti questi signori?”. Come lui migliaia di ristoratori messi con le spalle al muro dal collasso economico innescato dall’emergenza sanitaria. Il suo locale, nel centro storico di Vibo Valentia, è chiuso e forse non riaprirà più. Troppi i debiti accumulati in questi mesi di chiusura. Francesco non vuole soldi, desidera solo un lavoro per rimettersi in carreggiata e non pesare più su quella famiglia che gli è sempre stata accanto e che lo ha sempre sostenuto.
«Il mio sogno in frantumi»
Con una laurea in giurisprudenza in tasca, nel 2017 ha deciso di inseguire il suo sogno: aprire un ristorante tipico nella sua città, a Vibo Valentia. Un progetto ambizioso che ha coinvolto tutta la famiglia e che ha dato sin da subito grandi soddisfazioni, fino al lockdown: «Ho resistito mesi, ho creato i percorsi di distanziamento, ricavando uno spazio all’esterno, ma è stato tutto inutile. Proprio quando stavamo per riprenderci, è arrivato il secondo stop. Il colpo di grazia per la mia attività». Impossibile far fronte alle utenze della luce e del gas che gli sono state staccate. Ci mostra i sigilli. Non una, non due bollette. E poi il mutuo, i dipendenti. I debiti che finiscono per stritolarlo. «Sarà impossibile che io possa riaprire. Troppi le sofferenze che ho accumulato. Non ne uscirò. Dovrò vendere il mio locale». Parole interrotte dal pianto. Lacrime di rabbia e disperazione.
«Ho 42 anni e mi sento un fallito»
«Ho 42 anni e mi sento un fallito. Ho buttato il sangue in questa attività, abbiamo investito i risparmi di una vita per questo progetto». Non si dà pace Francesco, anche se a tratti sembra rassegnato alla lenta agonia del suo ristorante. Lui che non ha neppure la possibilità di unirsi alla protesta dei suoi colleghi di “zona bianca” che martedì 6 aprile riapriranno, «E come faccio? Il mio locale è al buio, l’utenza è staccata». È spacciato, come lo sono molti nelle sue stesse condizioni. «Abbiamo resistito i primi mesi, ma adesso siamo allo stremo delle nostre forze. Questo il Governo lo sa?». Il suo destino sembra essere inesorabilmente segnato da un virus che ha distrutto anche senza infettare.