Petizione on line lanciata dall'avvocato calabrese Maria Nellina Spataro dell'associazione Catilina per reclamare contributi assistenziali non previsti solo per i liberi professionisti iscritti a gestioni previdenziali diverse dall’Inps
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E’ indirizzata al presidente del Consiglio dei Ministri, al ministro della Giustizia e al Consiglio nazionale Forense la petizione on line su change.org lanciata da un gruppo di avvocati aderenti all’associazione forense Catilina ai quali si è aggiunto l’avvocato e professore Carlo Taormina. Una petizione che vede fra i promotori anche gli avvocati calabresi Giuseppe Ioppolo e Maria Nellina Spataro, finalizzata a difendere gli avvocati, lasciati fuori dal decreto “Cura Italia” che, per far fronte all’emergenza coronavirus, non ha previsto – a differenza degli altri lavoratori – alcun temporaneo contributo in termini assistenziali per quanti indossano la toga. Così come nessun contributo è stato previsto per i liberi professionisti iscritti a gestioni previdenziali diverse dall’Inps.
Per capirne di più abbiamo chiesto qualche chiarimento all’avvocato Maria Nellina Spataro.
Avvocato Spataro, com’è nata l’idea di questa iniziativa?
«Più che di idea, si tratta di un’esigenza. Da qualche tempo insieme ai miei colleghi della gprlegal (avvocati Daniela Tiani, Guido Giudice, Gonzalo Videla e Francesco Pipolo) stavamo lavorando alla costituzione di un’associazione forense, per l’appunto l’associazione Catilina. Purtroppo la pandemia che ha travolto il mondo, non solo sta già lasciando dietro di se migliaia di vite umane, ma sta portando al collasso l’insieme del tessuto sociale composto da centinaia di migliaia di lavoratori. Tra questi anche gli avvocati, rimasti inspiegabilmente tagliati fuori dal decreto Cura Italia. Questa funesta situazione ci ha spinti a lanciare una petizione a tutela della professione forense».
Mi pare di capire che a lei questo decreto non piace affatto, perché?
«Sì, il decreto Cura Italia è una giulleria che non risolve né il problema economico né il problema connesso al Covid-19. Gli esperti sostengono che il virus ha una diffusione rapida, l’unica azione efficace per debellarlo sarebbe quella di bloccare tutto il Nord sul modello cinese. La Cina però ha potuto bloccare l’intera regione dell’Hubei, con una densità demografica pari a 60 mln di abitanti poichè un altro miliardo e mezzo di cinesi ha continuato a lavorare e a muovere l’economia, supportando in tutto le zone del focolaio. In Italia questo modus agendi non può essere emulato, perché il 70% dell’economia è concentrata nelle zone settentrionali del Bel Paese e tale ultimo dato è certamente addebitabile ad una serie di politiche economiche pregresse e opinabile a favore di una parte della penisola. Ebbene, ad oggi il Nord Italia non può fermarsi, lo avrebbe potuto fare solo se l’Europa fosse intervenuta concretamente, così come ha fatto il resto della Cina con la regione dell’Hubei. Purtroppo l’Europa “distratta” non vuole e non ha voluto vedere. Chissà se questo atteggiamento doloso dell’Europa farà finalmente maturare nei Cittadini la consapevolezza che l’idea di questa Europa è solo un grande bluff. Mi scusi, ma ci siamo già dimenticati che ci hanno negato l’importazione delle mascherine e del materiale sanitario? Per la serie: se non moriamo di Covid-19 moriremo di fame».
Un’analisi molto originale avvocato, ma ritorniamo alla petizione, nello specifico cosa chiedete?
«Semplice. Chiediamo le stesse misure adottate per tutti gli altri lavoratori contemplate nell’incriminato decreto. Vede, facendo questo lavoro, ossia quello dell’avvocato, spesso nelle aule giudiziarie invochiamo i principi costituzionali in favore dei nostri assistiti, oggi invece, come è meglio specificato nel testo della petizione, dobbiamo indossare la toga per difendere noi stessi e il principio di uguaglianza sancito all’art. 3 della Costituzione. È scandaloso che il decreto contenga due pesi ed “una misura”. Un paradosso».
La Cassa forense, vostro ente di previdenza, che ha fatto?
«Ha centrato l’obiettivo! Ad oggi non ha fatto nulla. Ci sentiamo completamente abbandonati. Persino il Cnf tace. Eppure noi avvocati siamo obbligatoriamente vincolati a Cassa forense, non abbiamo alternative. Vuoi esercitare la professione? Ti devi obbligatoriamente iscrivere a Cassa forense».
Mi ha colpito il titolo della petizione: “Difendi gli avvocati per difendere tutti”, in che senso?
«Ma lei se lo immagina un Paese civile senza gli avvocati? Senza le sentinelle del diritto? Ebbene, si ha l’impressione che questa crisi travolgerà inesorabilmente tanti colleghi. La pressione fiscale, quella contributiva, i Tribunali deserti, le udienze rinviate, come pensa che un avvocato potrà far fronte a tutto ciò senza un temporaneo contributo in termini assistenziali? Difendere un avvocato equivale a difendere un complesso sistema valoriale fatto di regole e di principi. Se noi ci indeboliamo, l’intera macchina della giustizia verrà indebolita, soprattutto a discapito dei cittadini che si rifugiano in noi per ottenere assistenza legale. Questo Paese rischierebbe di trasformarsi da uno Stato di diritto ad uno Stato di polizia».
Cosa intendete fare?
«Chiedere a tutti i colleghi di unirsi in questa delicata battaglia di civiltà giuridica, siamo in tanti, ma ciascuno deve annettersi all’altro, è il tempo della solidarietà, dell’unione, i personalismi devono essere accantonati. Noi della gpr legal, insieme al supporto del prof. Carlo Taormina che dall’alto della sua saggezza ed esperienza ha creduto in noi e nell’associazione Catilina, vogliamo semplicemente essere i portavoce di una situazione ingenerosa e discriminatoria nei confronti degli avvocati. Chiediamo di essere equiparati a qualsiasi altro lavoratore. Vogliamo non sentirci abbandonati dalle Istituzioni. Si dice che “se accendi una lanterna per un altro, anche la tua strada ne sarà illuminata”. Perciò invitiamo tutti i colleghi a leggere la petizione e a firmarla, a farla propria e a diffonderla. Alla fine le lanterne accese saranno talmente tante che non potranno non vederci».
Ecco il testo integrale della petizione:
«Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Cari Colleghi,
l’ emergenza che il Nostro Paese sta attraversando è preoccupante e drammatica. Dunque, in primis, è doveroso stringerci virtualmente a tutti gli operatori sanitari che quotidianamente sono impegnati in prima linea nella cura e nell’assistenza dei contagiati da Covid-19. Detto ciò, c’è un’altra parte del Paese, fatta di Donne ed Uomini laboriosi che si trovano tra “color che son sospesi”. Ovviamente, essendo avvocati immersi nella professione, non possiamo che focalizzare l’attenzione su quanto non contemplato nel Dpcm “Cura Italia”. Sono stati stanziati 25 mld di euro, parte dei quali destinati a tutte le categorie di lavoratori, ad eccezione dei liberi professionisti iscritti a gestioni previdenziali diverse dall’Inps. Orbene, tenendo conto che appartenere alla Cassa Forense non è una scelta bensì un obbligo, è grave e discriminatorio non essere contemplati nel suddetto Decreto. Il preludio di questa “denunzia”, e fateci passare il termine, non a caso parte dall’art. 3 della Nostra Amata Costituzione. Ebbene, Cari Colleghi, quante volte abbiamo invocato la Suprema Carta per difendere i nostri assistiti nelle aule dei Tribunali? Tante, ma mai troppe. È vero, momentaneamente abbiamo appeso la toga nella speranza di ritornare al più presto ad esercitare il nostro lavoro di sentinelle del Diritto ma, nel frattempo, tutti Insieme riprendiamola ed indossiamola metaforicamente, questa volta, però, per difendere i Nostri diritti ed il futuro delle prossime generazioni.
È arrivato il tempo di essere gli avvocati di noi stessi, di rivendicare con orgoglio l’importanza che la nostra professione ha nella società civile. Certo, non siamo direttamente alle dipendenze dello Stato ma, come i dipendenti della P.A., serviamo con Onore e lealtà lo Stato, assicurando il buon funzionamento della perniciosa macchina della Giustizia. L’ incriminato decreto è ingeneroso, irriconoscente, mortificante nei nostri confronti. Lo è ancor di più nella misura in cui non tiene conto degli illustri predecessori: Ulpiano, Beccaria, Carrara, Anzillotti, Cassese, Rossi, Calamandrei, i quali, con il loro pensiero ed il loro contributo intellettuale, hanno nobilitato anche chi è legittimato a governarci oggi.
Non c’è Paese al mondo che non è sorretto dai giuristi, dal principio del contraddittorio, dal principio di eguaglianza, dal diritto di difesa. Fiumi di inchiostro sono stati usati per scrivere le pagine delle più belle Carte costituzionali, irrealizzabili senza il sacrificio estremo di tanti eroi e molti martiri. Questo periodo finirà presto, ce lo auguriamo, e gli strascichi della negligenza e della disattenzione verso la professione forense saranno persistenti e diabolici. Chi esercita già conosce e brancola nella disseminata landa di difficoltà. Chi esercita sa quanto impegnativo e sacrificante sia riuscire a farsi pagare le parcelle, chi esercita sa e va incontro ai propri assistiti scendendo a compromessi economici dati già dalla pregressa crisi. Orbene, chiunque si rivolge agli avvocati, siano essi politici, magistrati, cittadini, lo devono fare usando lo stesso Rispetto e la stessa Sensibilità che Noi usiamo nel trattare quotidianamente con gli altri. È impensabile essere abbandonati dallo Stato, Lo stesso che nelle posizioni apicali è servito da giuristi quali il Presidente del Consiglio dei ministri e il ministro della Giustizia stessa. Dunque, chiediamo, senza troppi panegirici, non maggiori tutele, ma le stesse tutele offerte ad altri lavoratori. Il tempo dei tentennamenti è scaduto, cosi come quello della falsa “dimenticanza”. Chi tace ora è complice e si macchia del peggiore dei delitti: l’omicidio di un’intera, o quasi, classe professionale. Un omicidio subdolo basato sulla violenza economica.
Cari colleghi, ci rivolgiamo soprattutto a voi, ossia a quelli che sono integrati nel tessuto dei Consigli degli Ordini, che ne ricoprono cariche, dateci una prova vivida della Vostra esistenza. Dateci prova che i tormentati giorni che precedono le elezioni per il rinnovo del Consiglio dell’Ordine (quando ci inondate dei Vostri volantini e dei Vostri “santini”) sono giorni edificanti, tesi a migliorare la vita forense, e non un banale strumento per l’ascesa al potere personale.
Diteci apertamente che le nostre elezioni non sono figlie del retaggio culturale di quelle politiche, nè una loro goffa imitazione, destinate solo ad accrescere il consenso e a tradire subito dopo le aspettative degli elettori. Parimenti, con la stessa tenacia e determinazione invochiamo i delegati di Cassa Forense che nella confusione generale tacciono, proclamando la sospensione, tout court, del pagamento dei contributi fino al mese di settembre 2020 (peraltro concessione già prevista). Misura quest’ultima troppo blanda ed inefficace per far fronte alla grave crisi da cui inesorabilmente siamo e saremo colpiti. Purtroppo, dobbiamo accettare che ci troviamo di fronte ad un’inerzia inqualificabile da parte del Nostro sistema di gestione contributivo. Avvolta nel mistero e drammaticamente incomprensibile è la decisione di Cassa Forense di investire 175 mln di euro in fondi europei. “Ai posteri l’ardua sentenza”. Dunque, cari colleghi, vinciamo anche questa battaglia di Democrazia e Libertà, facciamolo con la solita eleganza che è il nostro segno distintivo, fatto di regole, di diritto e di parole e nel pieno rispetto della legge. Uniamoci e tuteliamo il nostro diritto che è anche il diritto di Tutti. W l’Italia, W l’avvocatura.
Avv. prof. Carlo Taormina, Avv. Giuseppe Ioppolo, avv. Maria Nellina Spataro, avv. Daniela Tiani, avv. Guido Giudice, avv. Pietro Cannatelli, avv. Giuseppe Mucciolo.