Lavoratori sul lastrico, senza Trf e con il 30% dell’ultimo stipendio maturato. Sono gli ex dipendenti della Simet, nota azienda trasportistica che nei mesi scorsi si è vista costretta a procedere al licenziamento di 38 lavoratori su 70 a rischio. Una crisi profonda nata dalla pandemia e proseguita con il rincaro dei prezzi del gasolio, oltre all’azzeramento del piano industriale delle ferrovie dello stato che mirava alla mobilità integrata ferro-gomma.

A determinare i licenziamenti la parziale autorizzazione per l’accesso all’assegno di integrazione salariale. Il sindacato Faisa-Cisal (Francesco Bruno – Francesco Antonio Sibio) ha chiesto alla Regione Calabria, coinvolgendo anche il Prefetto di Cosenza, l’attivazione di un tavolo per affrontare la grave emergenza che vivono i lavoratori.

I sindacalisti parlano di rassicurazioni ottenute durante il periodo della campagna elettorale e che per ragioni di opportunità si rinviava il tutto a dopo le elezioni al fine di scongiurare il rischio di eventuali strumentalizzazioni. «L’esito del voto pare però abbia messo a tacere, in Calabria, non solo la campagna elettorale in sé, ma anche i buoni propositi enunciati nel corso della stessa, commentano Sibio e Bruno, facendo sprofondare nell’incertezza i lavoratori che è nostra premura vengano ascoltati».

Nel frattempo, un folto gruppo di autisti licenziati rappresentati dalla portavoce Elda Renna denuncia il silenzio delle istituzioni rispetto alla vertenza in atto. I lavoratori sottolineano come la «Simet non abbia pagato il Tfr, di vitale importanza» per chi è rimasto senza un reddito. «Tanti di noi versano in gravi difficoltà economiche, tanto da non riuscire a fare la spesa, piuttosto che pagare mutui, affitti, bollette. In una sola parola non riusciamo a far fronte alle esigenze primarie personali e delle nostre famiglie. Esprimiamo anche rammarico per i nostri colleghi che attualmente sono in forza alla Simet S.p.A., perché si vedono riconosciuto anche loro solo il 30 % di ciò che dovrebbero percepire nelle buste paghe».