Appassionato di caccia, ecco le proposte del dottore Luigi Novello per un fenomeno sempre più preoccupante che sta mettendo in serie difficoltà soprattutto il settore agricolo calabrese
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Cinghiali, nel riquadro Luigi Novello
L’emergenza cinghiali in Calabria continua a provocare gravi danni all’agricoltura e, in alcuni casi, rappresenta un serio pericolo anche per l’uomo. Nell’estate del 2019 un 46enne di Simeri Crichi ha perso la vita mentre a bordo della sua moto andava a mare. L’animale spuntato improvvisamente a bordo strada l’ha colpito sul lato destro del mezzo. Un mese fa il caso dell’agricoltore aggredito a Cetraro per aver tentato di arginare l’avanzata degli animali nella sua proprietà. Della gravità della situazione e delle possibili soluzioni abbiamo parlato con il dottor Luigi Novello, che fra le altre sue attività ha anche una forte passione per la caccia ed è un esperto della materia, avendo anche ruoli nelle associazioni di categoria.
Come giudica il piano straordinario di recente varato dalla Regione che prevede un abbattimento massivo di animali e regole meno stringenti rispetto a quelle fino ad oggi in vigore? Dal suo punto di vista rappresenta una soluzione definitiva?
«È vero che questo problema provoca danni con risarcimenti pesantissimi, che superano la soglia della sostenibilità. L’assessorato regionale è molto presente e molto attivo ma si poteva intervenire prima. Si tratta di un fenomeno in evoluzione: per l’ibridizzazione di questa specie, per il cambiamento climatico e per la presenza dell’uomo in montagna. Non essendoci più i prodotti che l’uomo coltivava, manca il sostegno a questi animali che si muovono ormai anche verso i centri abitati».
Nonostante la misura straordinaria introdotta dalla Regione, il piano non è però entrato in vigore. Qual è il clima tra gli agricoltori, categoria più colpita dalla proliferazione degli ungulati?
«Gli agricoltori sono stanchi, provati e arrabbiati per un fenomeno che distrugge il loro lavoro. Per quanto riguarda i piani di abbattimento, ritengo che facciano parte di un programma regionale che ha effettivamente contribuito a ridurre i numeri. Questo ha anche permesso di attivare forme di sostegno».
Il presidente di Coldiretti in una recente intervista a LaC ha indicato l’uso di gabbie particolari come uno strumento utile e replicabile su vasta scala, cosa ne pensa?
«La proposta della Coldiretti è monca, perché la gestione reale della situazione è attualmente diversa. Oggi non esistono filiere, che invece potrebbero rappresentare un’opportunità importante, soprattutto attraverso la lavorazione delle carni. Potrebbe essere anche anche un incentivo a creare posti di lavoro. Catturare i cinghiali senza avere poi un sistema che ne gestisca l’utilizzo è inutile: senza filiere, il processo si blocca. È vero che in alcune regioni del Nord esistono già strutture che valorizzano queste carni, ma in Calabria purtroppo siamo indietro. Per questo creare filiere locali sarebbe un passo fondamentale».
Quali le sue proposte su questo grave problema?
«La mia proposta parte proprio dalla creazione di filiere strutturate e di un sistema di controllo sempre più specializzato. È fondamentale lavorare insieme alla politica, alle associazioni di categoria e ai professionisti del settore per realizzare censimenti precisi, che ci permettano di avere numeri attendibili e non affrontare l’emergenza in modo approssimativo. Senza il supporto di esperti è impossibile avere una reale percezione del fenomeno e trovare soluzioni concrete.
Un’altra idea che ritengo centrale è quella di riproporre, soprattutto in montagna, la coltura a perdere: ovvero realizzare progetti finanziati con fondi europei che incentivino agricoltori e giovani a tornare alla coltivazione di terreni di proprietà. Questo permetterebbe non solo di contrastare l’emergenza, ma anche di rilanciare l’agricoltura e ricostruire un habitat più equilibrato per questo “simpatico” animale».