Il presidente Klaus Algieri analizza i dati sulla produzione di spazzatura durante la pandemia e la relativa tassa da sborsare per gli esercizi commerciali già penalizzati dalle chiusure
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Nell'ultimo anno sono più i giorni in cui sono rimaste chiuse che quelli di apertura, eppure c'è una cosa che non sembra cambiata per le attività commerciali, covid o non covid: l'ammontare della tassa sui rifiuti. Nonostante le pressioni dell'Ue affinché l'Italia si adegui al principio che chi inquina di più deve pagare di più, nel Bel Paese l'esborso di chi, invece, ha sporcato meno, volente o nolente, negli ultimi dodici mesi è rimasto identico in gran parte del territorio o è addiritura aumentato. A denunciarlo, con una nota a firma del presidente Klaus Algieri, è Confcommercio Calabria. Algieri spiega che nel corso del 2020 la produzione di rifiuti in Italia è calata di 5 milioni di tonnellate, circa il 15% in meno rispetto al 2019, nonostante l'enorme quantità di mascherine finite nella spazzatura. Eppure il gettito legato alla Tari è rimasto sostanzialmente invariato a confronto con l'annata precedente: 9,73 miliardi di euro.
Il nuovo metodo tariffario non decolla
A poco sono servite le disposizioni con cui l’Arera, l’autorità che ha assunto funzioni di regolazione e controllo in materia di rifiuti urbani, aveva fissato per il 2020 l’adozione del Metodo tariffario rifiuti (Mtr) basato sulla trasparenza e sull’efficienza dei costi del servizio di raccolta. Si prevedeva un abbattimento delle tariffe ma, spiega Algieri, solo il 21% dei Comuni ha recepito il nuovo metodo di calcolo e nel 58% di essi la Tari risulta «in aumento per un valore medio del +3,8%».
Le spese non sembrano cambiate in Calabria, dove è sempre Reggio la provincia più cara e Vibo quella in cui dall'imposta si incassa meno. Ma il paradosso maggiore è che «persistono i divari di costo tra medesime categorie economiche, sempre a parità di condizioni e nella stessa provincia». Algieri porta ad esempio il caso di «alberghi e ristoranti, che nonostante le gravi difficoltà legate alla pandemia, continuano a pagare il prezzo più alto in termini di tassa sui rifiuti». Tutto mentre «la gran parte dei Comuni capoluogo di provincia continua a registrare una spesa superiore rispetto ai propri fabbisogni».
Un Comune su quattro ha aumentato l'imposta
Il famoso “chi inquina paga” voluto dall'Ue, nonostante le direttive di Arera, resta una chimera in Italia, alla faccia delle rimodulazioni tariffarie annunciate. Tant'è che «a dispetto della delibera dell’Autorità, i dati esaminati evidenziano come, a livello nazionale, il 60% dei Comuni abbia mantenuto le tariffe invariate, mentre il 17% le ha diminuite e il 23% addirittura aumentate».
Come risolvere il problema, tutelando così anche «quelle attività che sono rimaste aperte ma che, a seguito degli orari di attività ristretti, dei contingentamenti e della minor propensione dei cittadini a uscire e consumare, hanno registrato cali di fatturato significativi»? Il presidente di Confcommercio punta sulla concertazione e il dialogo con le amministrazioni locali. Algieri chiede ai Comuni «interventi strutturali» e «misure emergenziali», visto che la pandemia non accenna a fermarsi: «Siano esentate dal pagamento della tassa tutte quelle imprese che, anche nel 2021, saranno costrette a chiusure dell’attività o a riduzioni di orario. Analoghe misure – conclude - dovranno essere riconosciute in favore di tutte quelle altre imprese che, pur rimanendo in esercizio, registreranno comunque un calo del fatturato e, quindi, dei rifiuti prodotti a causa della contrazione dei consumi».