«Io sono Christian di Verbicaro e svolgo questo rito con passione nei confronti dell'Addolorata. Ho fatto un voto a questa Madonna e rivivo la Passione di Gesù nella sera del Giovedì Santo, ricordando la Flagellazione». Il nostro viaggio alla scoperta del rito dei battenti parte così, da queste parole, pronunciate una decina di giorni fa da Christian Sgamba, 32 anni, battente per devozione, che ci ha spalancato le porte di casa per raccontarci i risvolti più umani e profondi di un rito, quelli dei battenti di Verbicaro, che da decenni non smette di dividere, scandalizzare, ma anche affascinare. Il rito dei battenti è la rappresentazione nuda e cruda della Passione di Cristo. Coloro che vi prendono parte, si "battono" sulle gambe con un tappo di sughero intagliato di pezzi di vetro, detto il "cardillo", e poi compiono tre volte il giro del paese, mentre amici e conoscenti di tanto in tanto versano del vino sulle ferite per disinfettarle. La rappresentazione si conclude alla fontana vecchia, intorno alle 3 del mattino, dove i battenti lavano le ferite sanguinanti con l'acqua gelida. «La notte del Giovedì Santo - rivela il giovane - sento di me una forza sovrumana. Se dovessi battermi in un altro giorno dell'anno, io non sarei capace di farlo».

La fede dietro l'autoflagellazione

Christian ci accoglie nel suo appartamento al centro storico di Verbicaro ed è vistosamente emozionato. Al solo pensiero che pochi giorni dopo avrebbe dovuto battersi in pubblica piazza, gli vengono gli occhi lucidi. «Ho cominciato nel 2010, a 18 anni, e nemmeno io so perché. Anzi da piccolo avevo paura dei battenti, non volevo vederli. Poi crescendo ho sentito qualcosa dentro, una chiamata». Il motivo potrebbe essere la profonda devozione maturata nei confronti della Vergine Addolorata, la cui statua, che la raffigura avvolta in un mantello nero con striature in oro, sovrasta la piazza principale proprio nella notte tra il giovedì e il venerdì santo. Christian se l'è tatuata addosso, lungo tutta la schiena. È a lei che dedica il sacrificio di quella notte, meditando e pregando dall'inizio alla fine, ma anche sperando che vada tutto bene. «In quei momenti mi ripeto sempre "speriamo che ce la faccio"». Perché battersi a sangue non è semplice, né dal punto di vista psicologico né dal punto di vista fisico. I battenti, indipendentemente dalle temperature, indossano un una maglietta a mezze maniche e un paio di pantaloncini corti. Rigorosamente rossi, come il sangue che versano per le vie del paese. Le bandane invece possono essere anche nere, in segno di lutto. Inoltre, camminano a passo svelto per quattro ore.

La lunga notte dei battenti

Il rito dei battenti comincia intorno alle 20 del giovedì santo, quando i partecipanti aprono le porte delle loro case per accogliere amici e conoscenti, ma anche curiosi, che li affiancheranno nella loro lunga notte di autoflagellazione. Nelle tre ore che precedono l'uscita pubblica, si banchetta e si condividono i pasti, un'usanza che richiama l'ultima cena di Gesù. Poi intorno alle 22:30 i battenti, quest'anno una ventina in tutto, si spogliano degli abiti ordinari e indossano quelli rossi tradizionali. Mezz'ora più tardi, suddivisi per gruppi, escono di casa accolti dagli applausi della folla. Dapprima si schiaffeggiano le gambe per stimolare la circolazione sanguigna, poi si feriscono ripetutamente le gambe a sangue, macchiandosi anche in volto. Una scena che negli anni si è attirata critiche feroci. Parole, però, a cui Christian non fa caso. «Io dono il mio sangue alla Madonna, per suo figlio che è morto per noi». Tutto il resto non è affar suo. I battenti poi compiono tre giri del paese a passo spedito, facendo delle soste nelle cappelle sparse lungo le vie e sui sagrati delle chiese. Dentro non possono entrare. Il rito dei battenti, infatti, non è un rito religioso, ma laico e di carattere privato. Tuttavia, a Verbicaro, è di fatto parte integrante delle tradizioni pasquali.

Il rito dei battenti nel contesto storico-cultura

A rivelare importanti dettagli del rito dei battenti è Angelo Rinaldi, uno storico e studioso. «L'origine - ci dice - risale agli anni Quaranta del 1800 e il primo battente fu Giuseppe Cetraro», un contadino del posto che cominciò ad autoflagellarsi dopo un periodo personale delicato. Dapprima si trasferì a Belvedere Marittimo per seguire tutte le processioni religiose, poi fece ritorno a Verbicaro, dove cominciò a ferirsi a sangue, in nome di Gesù e del suo sacrificio. Successivamente, il fenomeno fu emulato da altri suoi concittadini, che, di generazione in generazione, hanno tramandato la tradizione, destando grande curiosità. Negli anni '80, però, il vescovo di allora della diocesi San Marco Argentano-Scalea, don Augusto Lauro, scrisse una lettera affermando che il rito dei battenti era ormai anacronistico, superato, e suggeriva ai battenti di manifestare la propria devozione in altre forme, possibilmente attraverso la carità. Ma non si trattò di una vera e propria condanna.

Una inspiegabile necessità

La tradizione, pertanto, andò avanti, attirando anche le simpatie dei credenti più devoti. A portarla avanti, battenti vecchi e nuovi, per i motivi più disparati. Per alcuni di loro si tratta di una necessità che a parole non si può spiegare. «Per me è una ragione di vita - spiega ancora Christian -. Io finisco di battermi e penso all'anno successivo, succede mentre mi cambio i vestiti ancora sporchi di sangue. È l'unica cosa che chiedo alla Madonna, quella di darmi la possibilità di potermi battere ancora. Quello che faccio - conclude -, lo faccio con sincerità».