Esattamente 700 anni fa, nella notte tra il 13 ed il 14 settembre, ci lasciava il Sommo Poeta. Nella sua opera presenta la figura del monaco, filosofo e profeta calabrese
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Esattamente 700 anni fa, nella notte tra il 13 ed il 14 settembre, ci lasciava il Sommo Poeta Dante Alighieri. Con la morte lasciava la sua intensa e straordinaria vita terrena per diventare immortale! È obbligo ricordare oggi una figura tra le più apprezzate della cultura mondiale.
Dante e la Calabria
Dante Alighieri nella sua Commedia presenta la figura di Gioacchino da Fiore, monaco, filosofo, profeta calabrese:
“…E lucemi da lato il calavrese abate Gioacchino,
di spirito profetico dotato…”. (Paradiso, XII,139-141).
Che Gioacchino da Fiore abbia esercitato su Dante una importante influenza, ne ha parlato, fra gli altri, il filosofo e teologo calabrese Giovanni Di Napoli, autore di importanti saggi sull’abate calabrese da lui definito «un riformatore». Di Napoli scrive che “Dante era informato sulla persona di Gioacchino” e che tanti sono gli elementi che “mostrano in Dante un conoscitore delle idee e propositi e raffigurazioni simboliche di Gioacchino”
Giovanni Papini scrisse che «nell’animo di Dante si affrontano i due fuochi accesi nell’Italia del Sud ad illuminare l’ultima grande stagione del Medioevo: S. Tommaso d’Aquino e Gioacchino da Fiore: il costruttore e il sognatore; l’Architetto sapiente e il Profeta ispirato».
Franco Liguori su Calpost scrive: «L’influenza dell’abate calabrese fu davvero forte e illuminante, tant’è che nella Divina Commedia si riscontrano diverse similitudini con le affascinanti immagini frutto delle intuizioni mistiche di Gioacchino, come la figura della candida rosa dell’Empireo nel XXXI canto del Paradiso ispirata alla tavola XIII del “Libro delle Figure” di Gioacchino; così pure, nel XXII canto del Paradiso , quando contempla la Trinità, nel descriverla (“la Fede vede questi tre giri, di tre colori e d’una contenenza, ma la geometria non potrà vederli mai”) Dante s’ispira ai tre cerchi tricolori disegnati da Gioacchino nell’XI tavola del “Libro delle Figure».
Per lo scrittore Ernesto Bonaiuti, la “Commedia” di Dante è scritta in chiave gioachimita: «L’atmosfera in cui la sua ispirazione si mantiene è intatta, l’atmosfera respirata da Gioacchino, la tecnica della sua interpretazione della Bibbia e della storia ecclesiastica è tuttora, intatta e precisa, la tecnica del Veggente di Celico».
Ragion per cui non è eccessivo dire che il poema dantesco è senza ombra di dubbio un capolavoro italiano della letteratura mondiale al quale la Calabria ha dato, con l’abate Gioacchino da Fiore, un importantissimo contributo. E di questo, scrive il prof, Franco Liguori:«Noi calabresi dovremmo andar fieri ed ispirarci agli insegnamenti di questi “grandi figure” del nostro passato ricco di storia e di cultura, come l’abate silano, al quale Dante ha assegnato un posto in Paradiso, il santo di Paola, il filosofo di Stilo, per uscire dalla palude culturale, politica e morale in cui siamo immersi da tempo!».
Il dipinto in foto è di un anonimo di fine ‘800 restaurato dal calabrese Antonio Libonati, uno dei più bravi restauratori italiani, con una intensa attività alle sue spalle, e una profonda conoscenza del mondo dell’arte.