Ricordate il servizio della iena Pablo Trincia sulla palestra di Monselice vietata ai neri? Beh… Qui è tutta un’altra storia.

«La mia è una palestra multidisciplinare, non vedo perché non possa essere anche multirazziale o multietnica». Siamo a Vibo Valentia. A parlare è Mimmo Limardo, titolare della Egofitness. Una laurea in legge (sì, poteva fare l’avvocato o il magistrato), ma ha preferito dedicare la sua vita al fitness e al wellness. Nella sua base sportiva di via Barrio si allenano questi ragazzi dal fisico scolpito nell’ebano: Mamadì, Shariff, Keba… Le loro sono storie simili e al contempo diverse, che si incrociano sotto il peso della ghisa. Storie di integrazione, ma anche di passione.

«La loro – spiega il maestro di body building – è una presenza piacevole. E poi sono geneticamente favoriti…». Già, la genetica: ciò che rende i maratoneti keniani, ad esempio, dei superuomini.

 

Mamadi Sagna è partito dal Gambia in cerca di un futuro migliore. Ha attraversato il Senegal, il Mali, il Burkina Faso, il Niger, la Libia, poi il canale di Sicilia. Approdo a Lampedusa, da qui a Roma, poi a Vibo Valentia. Trecce rasta, bandana mimetica. L’uomo nero ha tratti somatici esotici e delicati, ha modi raffinati ed una educazione che colpisce. Ha muscoli ma anche tanto cervello: è un ragazzo di grande cultura; nel paese d’origine ha studiato storia e conosce ben sette lingue. È un interprete di cui si avvale il Ministero dell’Interno e lavora in particolare per la Prefettura di Reggio Calabria. Qui ha trovato, grazie alle sue competenze, un presente, un futuro, l’amore, la famiglia: «Perché sono a Vibo Valentia? Perché la mia compagna è di qui… E abbiamo anche una bambina».  Il fitness? «È una passione che avevo anche in Gambia…».

Shariff Mane, 30 anni, viene invece dal Senegal. Parla benissimo l’italiano e, ancor meglio, il dialetto calabrese. La terra d’origine è segnata da profonde contraddizioni. Aveva un negozio, poi la giustizia sommaria del suo paese l’ha costretto a fuggire. Un viaggio duro, incredibile, attraverso un continente. Una traversata, dura e pericolosa, prima di essere accolto dall’Italia. Era l’1 ottobre del 2014 quando salpò dalle coste libiche assieme a tanti “fratelli” in cerca di un futuro migliore: «Sono stati quattro giorni di grandine e neve in mare… È stato bruttissimo». Sono stati poi tratti in salvo e fatti sbarcare al porto di Vibo Valentia.

Shariff poi è rimasto qui. Rispettando le regole: rinnovando il permesso di soggiorno e, soprattutto, lavorando. Anzi, a dirla tutta, è uno che si è fatto un mazzo così: manovale, muratore, ferraiolo… Ora si è dato ai traslochi. Alto più di un metro e novanta, forza da paura, le calorie che gli restano dopo una giornata di fatica le brucia qui…

Keba, 28 anni, come Mamadi viene dal Gambia. Ha studiato lettere ed era un talento del calcio, poi un grave infortunio ha stroncato la sua carriera. E si è dedicato al body building. Anch’egli è fuggito, intraprendendo un viaggio di quasi due mesi, tra i Paesi dell’Africa. Poi un’altra drammatica trasversata, il salvataggio, lo sbarco a Taranto e l’arrivo qui.


I ragazzi della palestra lo chiamano «il Sindaco». Perché? «Perché a Vibo – replica Keba - sono stato il primo ad arrivare, poi sono arrivati tutti gli altri. E ho conosciuto tanta, tanta gente…». Gente che gli ha voluto bene, gente che gli ha anche dato un lavoro in un bed & breakfast. «Mimmo Corigliano, Mimmo Corigliano… ripete». Non sappiamo chi sia, certamente, da come lo descrive dev’essere un uomo dal cuore d’oro.

Da prospettive diverse osservano un Paese che con l’avvento del ministro Salvini e del governo gialloverde ha cambiato radicalmente approccio sull’immigrazione.

«Salvini? Lascialo stare Salvini - scherza Keba, a cui però il vicepremier sta invece simpatico e parte del suo pensiero lo condivide -. È giusto… Chi lavora sta, chi no se ne deve tornare al paese suo. Tu non puoi stare in un posto senza lavorare». Keba segue il ministro dell’Interno soprattutto sul web ed i social. Shariff non è da meno, ma è più realista: «Salvini ha complicato le cose per i richiedenti asilo politico. Oggi è ancora più difficile avere i documenti e se non hai i documenti non puoi lavorare e se uno non lavora come vive».

Questi ragazzi, in fondo, hanno una profonda consapevolezza: non conoscono alternativa al lavoro, credono nell’autosostentamento, credono nella ricerca della felicità che in parte hanno trovato. Ma il nostro è un Paese razzista? Mamadi parla con disincanto: «Ovunque vai ci sono i buoni e ci sono i cattivi». Già.

Oggi Mamadi, Shariff e Keba si allenano, vivono. E sono i protagonisti di una bella storia. Non dimenticheranno mai i loro Paesi ma hanno imparato ad amare anche quello che li ha accolti con affetto: Vibo Valentia, Calabria, Italia.