Dalla profonda provincia della nostra regione hanno guadagnato un posto nella bibbia della ristorazione "lenta". Un riconoscimento al lavoro e all'impegno dei ristoratori che hanno saputo innovarsi restando fedeli ai sapori locali
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Fino a poche tempo fa, quando si nominavano le osterie la prima immagine che veniva in mente era un cuoco rubicondo con il grembiule macchiato dal sugo del ragù. I tempi però sono cambiati, il cibo è diventato cultura e anche il ruolo (e l’immagine) dell’oste ha mutato forma e sostanza.
La Calabria non è rimasta fuori da questa mutazione genetica della ristorazione, quella di una cucina in continua ricerca, ma comunque legata alle proprie tradizioni. Un legame profondo con la terra e i sapori, fattori che da oltre 30 anni sono l’anima stessa di Slow Food e del suo profeta Carlo Petrini. Tre decenni, in cui la “Guida all’osterie d’Italia”, è diventata una sorta di bibbia per i ristoratori “slow food”, in lizza ogni anno per la prestigiosa “chiocciola”.
Ed eccole le “magnifiche” 8 osterie della nostra regione che hanno guadagnato la “chiocciola”, finendo sulla guida che sarà in edicola e in libreria dal 17 settembre prossimo: in provincia di Catanzaro troviamo “La pecora nera” di Albi, paesino di poco meno di 900 abitanti, che con la sua cucina è riuscita a attirare l’attenzione di Slow food; della provincia catanzarese è anche “Calabrialcubo” di Nocera Terinese e a Serrastretta “Il Vecchio Castagno”.
Nella provincia reggina, invece, ci sono “Il Tipico Calabrese” di Cardeto, “Il ritrovo dei picari” di Grotteria e “La collinetta” di Martone. A Cotronei, in provincia di Crotone, troviamo “La Taverna dei Briganti”, mentre nella provincia di Cosenza c’è “La Tana del Ghiro” di San Sosti.
Piccole storie culinarie che arrivano dalla profonda provincia calabrese; storie di osti e cuochi che hanno saputo guardare al futuro restando fedeli alla Calabria e ai suoi sapori intensi.