Ripensare il futuro rivalutando la montagna e rispettando gli equilibri naturali. Molto sentiti i temi principali sviluppati nella quarta serata del “Serreinfestival”, conclusa con la presentazione del libro “La montagna calabrese”. Un evento appassionante, che ha stimolato riflessioni e fatto comprendere le origini delle attuali valutazioni sulla Calabria. Il dibattito, aperto con l’introduzione della coordinatrice del festival Maria Rosaria Franzè che ha anche toccato gli argomenti dell’emigrazione e dell’invecchiamento della popolazione, è stato avviato con le spiegazioni della già docente di Lingua e Letteratura greca dell’Università della Calabria Giovanna De Sensi, che ha sottolineato l’importanza storica della montagna specificando che nel volume vengono affrontati anche gli aspetti antropologici, economici, dell’architettura, della religiosità e della struttura degli insediamenti. “Abbiamo 775 km di costa – ha affermato – ma la vita si è svolta nelle aree interne. La montagna ha dato le risorse per le città costiere ed è stata pertanto motivo di contesa. Attualmente più di 60 Comuni si trovano oltre i 750 metri sopra il livello del mare”.

Lo storico Antonino Ceravolo ha collegato le vicende della comunità con la condizione orografica rilevando che «la montagna rappresenta un problema notevole anche per l’immagine che dei calabresi è stata data nel tempo” e precisando che “i pregiudizi e gli stereotipi costruiti sulla montagna sono stato estesi all’intero territorio regionale”. A riprova di questa considerazione è stata riportata la frase di Alexandre Dumas secondo cui “il brigantaggio è un frutto indigeno che cresce in montagna». Dunque, montagna come “stigma pesantissima di negatività” a cui, però, ha risposto il paradigma positivo degli scrittori calabresi, specie di quelli appartenenti al romanticismo naturale che hanno, ad esempio, riconsiderato “i calabresi rudi in quanto indomiti”. In sostanza, la Calabria è stata spesso intesa come “un paradiso abitato da diavoli” e non va comunque dimenticato che “alla storia fattuale si aggiunge la storia della mentalità».

L’ambientalista Piero Bevilacqua ha evidenziato che il libro, che si basa su “una cronologia molto ampia”, riprende l’approfondimento geografico e rende “i calabresi consapevoli del loro territorio”. «Gli stessi calabresi – ha aggiunto ricollegandosi all’impatto delle influenze storiche – hanno finito per assumere l’immagine costruita dai visitatori stranieri. La montagna – ha poi notato volgendo lo sguardo all’attualità – è passata da luogo delle risorse del passato a luogo di distruzione di oggi». La giornata del festival era iniziata con “la scoperta delle carbonaie” e la visita al Museo della Certosa.