Il cantante lirico parla anche della sua terra natia: «La nostra Calabria? Oserei definirla “una donna meravigliosa e senza trucco”, così attraente nei suoi paesaggi completamente incontaminati»
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Antonino Giacobbe un baritono di grande successo. Un suo pezzo nella cattedrale di Cosenza per il Concerto della pace ha colpito molto, ha commosso la tanta gente presente.
Cosa ha interpretato?
«Felice di aver condiviso la scena insieme ad altri grandi interpreti, un concerto sentito, delicato, ricco di spunti di riflessione. Dal canto mio ho scelto l’Ave Maria di C.Gounod / J.S. Bach, un’intima preghiera. Il contesto, unito ad una musica così “alta” ha suscitato in me forti emozioni».
Si è emozionato nel tornare in Calabria dopo un lungo tour che l’ha portata in più parti del mondo?
«Ho lasciato per molto tempo la mia amata terra, parti di mondo sui quali l’uomo si è insediato con perizia ed interesse, facendoli diventare sbalorditivi: Parigi, Porto, Valencia, Milano, Baku, ecc.. Ma la nostra Calabria? Oserei definirla “una donna meravigliosa e senza trucco”, così attraente nei suoi paesaggi completamente incontaminati».
Ci racconti i suoi successi del 2024.
«Si riesce a comprendere meglio lo scorrere del tempo di un arco temporale quando esso è scandito da molti importanti appuntamenti. Quest’anno ho iniziato dal Teatro Lirico di Cagliari per la produzione del Nerone di A.Boito, da cui ne è scaturito un DVD di eccelsa fattura. Poi è stata la volta de La Bohème di G.Puccini, che ho rivissuto sia a Baku nel mese di marzo che poi in autunno al Teatro Marrucino di Chieti, nei panni di Marcello. Ho rivestito i panni di Figaro nel Barbiere di Siviglia al Gran Teatro Coliseu di Porto ed al Festival “Au coucher du soleil” della città di Oppède. Un importante ritorno in concerto come Baritono Solista al Teatro Lirico di Cagliari nel Requiem di J.Brahms. Ed ancora importanti debutti, di nuovi ruoli in nuovi teatri: Germont a Viterbo ne “La Traviata” di G.Verdi al Teatro dell’Unione di Viterbo, Sagrestano nella Tosca di G.Puccini in molti teatri tra la Spagna e la Francia, Dancaire nella Carmen di G.Bizet al Teatro Jean-Deschamps di Carcasson ed il ruolo di Mandarino al Teatro Antico di Taormina».
La parte meglio riuscita?
«Lo studio ed il metodo di apprendimento del ruolo che affronto rappresentano un’ottima base. Se il ruolo è confacente in buona parte alla mia personalità allora si aggiunge qualcosa!».
C’è stata delusione o qualcosa che non è andata come avrebbe dovuto?
«Noi cantanti lirici lavoriamo ogni giorno per ricercare il miglior suono possibile secondo le nostre possibilità. Vi sono molte varianti che incidono durante una performance in teatro: sforzi di memoria, per quanto riguarda il particolare testo antico e le richieste del direttore d’orchestra e di scena, sforzi fisici, il corpo deve trasmettere il sentimento che deve passare e la coda dell’occhio sempre sul direttore d’orchestra e, ultimo non trascurabile dettaglio, ricordarsi come risolvere tecnicamente i vari passaggi vocali. In tutto ciò si aggiunga un eventuale momento di salute non ottimale, lo stress emotivo di affrontare un pubblico enorme e competente… come vede le pressioni non mancano!».
Perciò da normali esseri umani lei capisce che qualcosa può sempre accadere!
«La vera arte sta nel riuscire a mascherare il più possibile un disagio e continuare a dare credibilità al personaggio».
I suoi prossimi appuntamenti?
«A fine mese sarò impegnato ne La Traviata al Teatro “V.Alfieri” di Asti e tra febbraio e marzo nel capolavoro del Mº Puccini Gianni Schicchi al Teatro Verdi di Trieste».
Il suo sogno?
«Il sogno principale l’ho già realizzato, se per qualsiasi ragione dovesse finire domani sarei già soddisfatto, ovviamente mi auguro continui. Vorrei offrire uno spunto di riflessione ai giovani: credete nei sogni, che si realizzino o no, poiché il solo tentativo di raggiungimento vi renderà persone migliori e vi allontanerà dalla mediocrità in cui rischiamo di affogare».
Cosa le è rimasto dentro del suo paese?
«Mancandoci da tanto tempo e vivendolo a singhiozzi da tanti anni, certamente rimane il vivo ricordo di un bambino che giocava a pallone per le strade del quartiere (che all’epoca parevano grandi come lo stadio S.Siro), i primi concerti, l’unione familiare durante le feste, gli amici di infanzia e la nostra spensieratezza inconsapevole».