C’è una cometa grande come l’Everest che punta dritto verso di noi e minaccia di spazzarci via per sempre. È lì. Basta alzare gli occhi al cielo per vederla mentre si avvicina nel buio dello spazio. Evidente come il sole che ne modella la coda. Sicura come la morte. Eppure, c’è un modo per ignorarla: basta non guardare in alto. Don’t look up. È questo il titolo del film del regista statunitense Adam McKay, che nel suo passato vanta soprattutto La grande scommessa (2015, Oscar come migliore sceneggiatura non originale).

Disponibile su Netflix dal 25 dicembre, Don’t look up è un capolavoro di sarcasmo e ironia sull’ottusità di un mondo, quello attuale, così onnubilato dal consumismo e dai social network da credere che la realtà coincida con i nostri gusti e le nostre opinioni.

La cometa, protagonista temporale del film che comincia con la sua casuale scoperta, è una metafora semplice e potente di tutto ciò che non vogliamo vedere anche se esiste con tutta la sua inequivocabile portata distruttiva.
La cometa è il cambiamento climatico, è il Covid, è lo stupro della natura, è la negazione della scienza. Ma è anche la sfrenata ambizione personale, la rinuncia al sacro, la tensione edonistica che cancella la morale, la politica come esclusiva ricerca del potere. E punta dritto verso di noi con la sua minaccia estintiva.

La speranza di fare qualcosa prima che sia troppo tardi c'è, ma deve fare i conti con chi – la maggioranza – decide che è meglio non guardare in alto.
«Sapete perché vogliono che guardiate sopra di voi? – chiede il presidente degli Stati Uniti (Meryl Streep) alla folla osannante di sostenitori -. Lo sapete perché? Perché loro vogliono che abbiate paura. Loro vogliono che guardiate sopra perché vi guardano dall’alto in basso». Parole che andrebbero bene in un qualsiasi comizio di no vax, in qualsiasi convention di negazionisti del cambiamento climatico. E anche se la cometa avanza nel sistema solare e centinaia di scienziati ne confermino l’ineluttabilità con numeri incontrovertibili e pure «delle cazzo di foto», il mondo si divide tra pro e contro, tra Sì e No, tra Look up e Don’t look up, in un’ultima, folle, ma spaventosamente verosimile parodia di quello che stiamo vivendo.

È questa la forza del film di McKay: un messaggio accecante come i fari di un’auto che sorprendono un cervo in mezzo alla strada. Un significato così semplice e potente che sovrasta addirittura il cast stellare che comprende, oltre alla Streep nei panni del presidente Usa, anche i protagonisti Leonardo Di Caprio e Jennifer Lawrence, i due scienziati sfigati che il mondo non vuole ascoltare.
Ma ci sono anche Rob Morgan (capo dell’Ufficio di coordinamento della difesa planetaria della Nasa, che nella realtà esiste davvero con tanto di logo ufficiale), Jonah Hill (figlio del presidente e, contemporaneamente, capo di gabinetto della Casa Bianca, in un comico cortocircuito nepotistico di stampo trumpiano), Cate Blanchett (cinica e ricchissima giornalista televisiva della fascia nazionalpopolare) e finanche Ariana Grande (che interpreta il suo alter ego con grande ironia). E sono solo alcuni, giusto per non citarli tutti.

Eppure, così tante star, e di tale caratura, non riescono a impadronirsi del film, grazie anche al taglio fintamente documentaristico che avevamo già visto ne La grande scommessa, con il quale McKay aveva raccontato la dinamica labirintica della crisi finanziaria del 2007-2008.
Di Caprio, Lawrence e Streep restano solo personaggi di una storia, ma non diventano mai “la” storia. Che rimane dominata dalla grande cometa che punta verso la Terra e continua a minacciarci anche quando scorrono i titoli di coda e torniamo a immergerci nei feed del nostro profilo Instagram, guardando in basso, nello schermo dei nostri cellulari: don't look up, appunto.