Il fondatore della storica band dei Pink Floyd è intervenuto alla proiezione a Roma del documentario "C'era una volta in Italia - Giacarta sta arrivando" di Federico Greco e Mirko Melchiorre
Tutti gli articoli di Cultura
PHOTO
Cinema Giulio Cesare, Roma. Sono le 21 quando la sala si riempie rapidamente. Loro sono tutti lì in prima fila: il dottor Michele Caligiuri (ex direttore sanitario dell'ospedale di Cariati), Ninì, Cataldo e Mimmo i nostri protagonisti e occupanti dell'ospedale di Cariati. Non tarda ad arrivare l'ospite più atteso: Roger Waters (fondatore dei Pink Floyd).
«Noi stiamo combattendo, lottare è importante ed è per questo che dobbiamo fare film e raccontare» esordisce così Roger Waters, fondatore della storica band Pink Floyd «perché se non combattiamo per i nostri diritti ci distruggeranno» e conclude «aprite l'ospedale di Cariati adesso».
Si spengono le luci ed inizia il film: C'era una volta in Italia. La sinossi è tanto semplice quanto complessa: Cariati provincia di Cosenza, un gruppo di “ribelli della pasta asciutta” - come ironicamente si auto proclamano – decidono di occupare l'ospedale ormai chiuso da tempo.
«Sottinteso nel titolo del film, “C’era una volta in Italia”, c’è il concetto di sanità pubblica. Noi avevamo una delle migliori sanità del mondo, ma con gli anni è stata distrutta. “Giacarta sta arrivando” si riferisce invece alla scritta apparsa sui muri di Santiago poco prima del sanguinoso golpe militare di Pinochet contro Salvador Allende. Si trattava di una minaccia collegata all’eccidio da parte della CIA di più di 500.000 attivisti, comunisti e simpatizzanti del presidente dell’Indonesia, Sukarno, che qualche anno prima aveva annunciato la nazionalizzazione delle più rilevanti aziende strategiche del Paese» spiega Federico Greco, uno dei registi del film e continua
«Giacarta, secondo molti, sta arrivando anche in Italia, seppur con altri metodi. Coincidenza vuole che il 4 dicembre ricorra un anniversario importante: cinquanta anni esatti dal famoso discorso di Allende all’ONU, dopo il quale fu deciso il suo assassinio. È la scena che apre il nostro film».
Siamo a Cariati, ma prima ancora a Giacarta questa dualità, non solo geografica, si ripercuote ed è visibile in tutto il film. Il contrappunto tra il grande e il piccolo, tra il globale e il parziale è il leit motiv di tutta la pellicola che racconta una storia ma in realtà ci sta parlando di qualcosa di più profondo: “è la lotta il vero focus di questo film”, come riportato da Marco de Bartolomeo, in C'era una volta in Italia: rabbia, vita e tarantella (La fionda.org 6/01/2023).
C'è tanta retrospettiva, c'è del Leone, del Tarantino e del Kassovits in questa pellicola. Parafrasando l'odio questo è un film che racconta i problemi di una società gravemente malata: malata di sanità.
Una sanità che viene raccontata come un bene prezioso che nel corso degli anni, dopo le prime conquiste degli anni '70, va via via sgretolandosi a causa della privatizzazione. Lo scorrere degli anni si ferma per un attimo al 2010, quando a causa di uno dei famigerati piani di rientro, l'ospedale di Cariati (assieme ad altri 17 ospedali calabresi) viene chiuso, nonostante gli ottimi indicatori sanitari tanto da contare oltre 33.000 nascite.
Non si parla solo di sanità pubblica; nel sottobosco della trama principale, c'è qualcosa di essenziale e che viene sottolineato più volte e con forza dai nostri protagonisti: il diritto. Un diritto violato. Una storia tanto semplice quanto potente quella della realizzazione di un immagine. Come diceva Massimo Fagioli “disegnando il nostro volto capiremo davvero chi siamo”.
Michele, Mimmo, Ninì e Cataldo sono come noi e in un certo senso siamo tutti noi. Cariati è solo il simbolo di una lenta distruzione che va avanti da troppo tempo.
Si riaccendono le luci, applausi misti a singhiozzi, l'atmosfera è quasi indescrivibile un'esplosione di sentimenti. Gli attivisti scambiano un ultima chiacchiera con tutti noi in sala, rispondono alle nostre domande ed infine si congedano, lasciando questa battaglia ancora aperta. E come dice Mimmo, adesso tocca a tutti noi fermare Giacarta.