«Ho imparato a leggere scrivendo il mio diario di lettura, e ho imparato a scrivere leggendo e rileggendo ciò di cui avrei parlato nel mio diario di lettura». Così Luigi Tassoni (critico, semiologo e professore ordinario di letteratura italiana e semiotica all’Università di Pécs, in Ungheria) introduce il suo ultimo libro “Diario di lettura e di letteratura”, presentato al Caffè letterario “Mario La Cava” di Bovalino. 

Abbiamo intervistato il professor Tassoni per parlare del suo lavoro poco prima dell'incontro con un attento e curioso pubblico di lettori, al quale hanno preso parte anche il direttore editoriale di Rubbettino Luigi Franco ed il presidente del caffè letterario Mimmo Calabria.

Quando e come nasce il libro di cui parliamo oggi?
«È una genitura piuttosto complessa, perché il libro è nato da una serie di articoli che ho scritto negli anni; se non ricordo male il primo era del 1984 e l’ultimo è praticamente dell’anno scorso, però non è organizzato in ordine cronologico, anzi, ha una sua ragione proprio in quattro sezioni che sono state pensate anche in virtù degli argomenti che si trattano nel libro. Si chiama “Diario di lettura e di letteratura” però in realtà non si parla solo di letteratura; si parla di autori, incontri, amicizie, di scambi, anche di particolari familiari e affettuosi come per esempio un ritratto a me molto caro della moglie di Mario La Cava, la signora Maria, che a Bovalino era diventata, dopo la scomparsa dello scrittore, la nostra ospite privilegiata e anche interlocutrice privilegiata».

«Il libro comincia con un intervento su Sciascia - ha continuato Tassoni -, proprio nel decennale della morte di Sciascia, è un intervento un po’ particolare e secondo me anche coraggioso; termina invece con una lettera a Natalia Ginzburg che ho avuto la fortuna anche di frequentare e di conoscere dimostrandole direttamente la mia stima, però questa lettera nasce a proposito di un suo libro di quegli anni, della metà degli anni 80: “La città e la casa”, che secondo me è stato ingiustamente sottovalutato dalla critica».

Cosa intende quando dice che ha imparato a leggere scrivendo il suo diario di lettura?
«Tutto deriva dagli anni della scuola elementare, come sanno molti bambini che hanno delle buone maestre ancora oggi, la maestra quando ci insegna a leggere bene, le pagine degli scrittori e dei libri di scuola, ci insegna anche a parlarne e quindi a saperne scrivere, ed io ho imparato così: mettendo insieme dei quadernetti nei quali parlavo dei libri che mi avevano particolarmente colpito o coinvolto. Così è nato il mio mestiere, proprio nella pratica della lettura che era al tempo stesso pratica della scrittura, scrittura e lettura sono per me sempre strettamente connesse».

Questo libro è il frutto del suo percorso da lettore che l’ha messa in connessione con numerosi scrittori e un’infinità di opere, secondo lei quali sono le caratteristiche che dovrebbe possedere uno scrittore di qualità?
«Secondo me uno scrittore di qualità prima di tutto non deve essere uno scrittore eclatante, non deve essere uno scrittore alla moda. Secondo me gli scrittori giovani difettano di un elemento, cioè non leggono a sufficienza e non si confrontano a sufficienza con gli altri autori, con le altre narrazioni, con le scritture di tipo differente e perché no, anche con la poesia. La poesia è un elemento fondamentale della nostra vita e dunque secondo me un buon scrittore è prima di tutto un lettore, poi molti scrittori sono anche traduttori e il lavoro di traduzione invita ad una immersione nel testo altrui e conseguentemente anche ad un confronto con il proprio linguaggio, con la ricerca di un linguaggio proprio ma anche originale».

Invece le caratteristiche di un buon lettore?
«Prima di tutto un’autonomia di giudizio, dovrebbe formarsi un proprio metodo. Naturalmente i metodi possono essere tanti, io sono uno studioso, faccio il semiologo quindi seguo un certo metodo molto preciso anche nell’organizzazione del mio lavoro, chiaramente non si richiede al lettore comune di avere tutto questo, però un orientamento sì, così come la capacità di scegliere; mi riferisco alla capacità di essere lui il centro della lettura nel momento in cui si orienta tra le pagine di un romanzo, di un libro di poesie, di saggi. Spesso i lettori si lasciano influenzare da formulette e da impressioni generiche date anche dalla pubblicità che si fa, giustamente, intorno ai libri e non si orientano, invece, sulla base di un lavoro personale. Lei mi chiederà, ma come si fa se uno prima non ha letto il libro? Beh, come facevo io quando avevo 15/16 anni e non avevo abbastanza soldi per comperare i libri che vedevo in libreria, leggendo già le prime pagine dei libri sul bancone dei librai, andando nelle librerie. Questa è la cosa più importante e si capisce già che cosa noi ci aspettiamo da un libro. Basterebbe del resto leggere “Se una notte d’inverno un viaggiatore” di Calvino per capire che cosa ci attendiamo da un lettore».

Oggi siamo al caffè letterario Mario La Cava, lei ha curato assieme a Milly Curcio un volume sui 40 anni di corrispondenza tra Leonardo Sciascia e Mario La Cava. Cosa ha significato per lei quel lavoro?
«È stato un lavoro formidabile perché è stato il primo documento privato che riguardava i due scrittori e soprattutto Sciascia. Sappiamo che era riservatissimo Sciascia e la famiglia teneva molto a una certa serietà di atteggiamento, che abbiamo avuto ed è stata molto apprezzata. È un epistolario che, devo dire, ha ancora una fortuna straordinaria e questo mi fa molto piacere; inoltre non nascondo che proprio in questi giorni stiamo per terminare l’elaborazione di un nuovo libro che proprio con Milly Curcio abbiamo scritto a quattro mani, e sarà interamente dedicato a Sciascia, lo pubblica Rubettino, casa editrice verso cui ho una stima enorme e l’introduzione a quell’epistolario sarà ripubblicato anche in questo volumetto».

Nel suo ultimo libro riesce a far dialogare la sua Calabria con i luoghi d’Europa in cui ha viaggiato e vissuto. Che tipo di dialogo è? Sono mondi così distanti?
«Questo è esattamente il senso del libro. Ho avuto la fortuna di vivere nel cuore dell’Europa, ho una cosa a Budapest e per oltre trent’anni sono stato professore all’Università di Pécs in Ungheria ma anche direttore di quel dipartimento, sono molto legato a quel paese. Poi grazie a questo mi sono spostato con facilità in Europa e anche negli Stati Uniti,  quindi ho potuto conoscere gli autori e le opere allo stesso tempo e molto spesso gli autori e le opere mi sono diventati amici, così ho potuto immetterli in un circuito più ampio nel quale rientrassero anche i miei autori, cioè gli scrittori calabresi che purtroppo molto spesso rimangono fuori dai grandi circuiti, ingiustamente, perché appunto La Cava, Strati, Lorenzo Calogero, Achille Curcio e diversi altri autori che cito e che leggo hanno il diritto pieno di rientrare in questo panorama europeo internazionale, che ci aiuta a percepire meglio il mondo di oggi. È qualcosa che dico anche ai ragazzi: leggete, perché la lettura, e la letteratura in particolare, vi aiuta ad entrare nella complessità di mondi vicini a voi anche se gli autori hanno scritto in anni apparentemente lontani».