di Bruno Gemelli

 

Il prossimo 24 gennaio ad Ancona, in collaborazione con la sindaca del capoluogo, Valeria Mancinelli (Pd), saranno inaugurate nove pietre d'inciampo che il celebre artista tedesco Gunter Demnig ha in programma di incastonare, in questo primo mese del 2020, nelle Marche. Demnig depositerà nel tessuto urbanistico e sociale delle città europee, una memoria diffusa dei cittadini deportati nei campi di sterminio nazisti.

Tra i commemorati di quest’anno c’è Vittoria Nenni. «Dite a mio padre che non ho perso coraggio mai e che non rimpiango nulla». Queste parole si leggono su una teca che ad Auschwitz ricorda le vittime dello sterminio. Sono le ultime parole lasciate da Vittoria Nenni. La più piccola delle figlie di Pietro Nenni. Le altre erano Giuliana e Luciana. Vittoria era chiamata amorevolmente dal padre e dalla mamma Carmen, Vivà.  Giovanissima sposò il cittadino francese Henry Daubeuf.

L’Anpi ha stilato una scheda: “Col marito, dopo l’invasione tedesca della Francia, Vittoria entrò nella Resistenza. Nel 1942, la giovane donna fu arrestata dalla Gestapo con l’accusa di aver stampato e diffuso manifestini antinazisti e di avere, con Daubeuf, svolto, soprattutto negli ambienti universitari, ‘propaganda gollista antifrancese’. Vittoria fu deportata nel campo di Romainville. Il marito, con altri patrioti francesi, fu trucidato l’11 agosto 1942 nelle vicinanze di Parigi. A Mont Valerien una lapide ricorda l’eccidio. La figlia di Nenni fu deportata nel campo di sterminio nazista il 23 gennaio 1943. Avrebbe potuto salvarsi rivendicando la sua nazionalità italiana, che era stata notata da un ufficiale di polizia, ma rifiutò. Dichiarò di sentirsi francese e di voler seguire la sorte delle compagne di prigionia. Ad Auschwitz, Vittoria Nenni (pur non essendo comunista e neppure iscritta al Partito socialista), si unì al gruppo dei comunisti francesi. Con loro condivise la durezza della deportazione e, ammalatasi gravemente (le autorità militari sovietiche, trovarono negli archivi del lager una scheda di Vittoria Daubeuf; i medici del campo avevano scritto che la deportata n° 31635 era deceduta per ‘influenza’), non sopravvisse”.

Dai diari di Nenni

Parigi, 11 agosto 1945: «A Parigi sono ospite di Saragat all’ambasciata. Nel pomeriggio ho ricevuto all’ambasciata Charlotte Delbo Dudach, la compagna di Vivà. L’altra compagna di Vivà che pure è rientrata, Christiane Charma, non è a Parigi. Il racconto di Charlotte è straziante. Vivà è arrivata ad Auschwitz il 27 gennaio 1943. Il suo gruppo era composto di duecentotrenta francesi; due mesi dopo era ridotto a quarantanove. Il viaggio era stato duro ma esse erano lungi dall’immaginare che cosa le attendeva ad Auschwitz. Quando sono entrate nel campo cintato da reticolati a corrente elettrica esse hanno avuto l’impressione fisica di entrare in una tomba. “Non usciremo più”, ha detto Vivà. Ma poi è stata fra quelle che hanno ripreso coraggio. Sono state spogliate di tutto, vestiti, biancheria, oggetti preziosi, indumenti intimi e rivestite di sudici stracci a righe carichi di pidocchi. La loro esistenza si è subito rivelata bestiale. Sveglia alle tre e mezzo, appello alle cinque, lavoro dall'alba al tramonto in mezzo al fango delle paludi. Un vitto immondo e nauseabondo. Non acqua. Neppure un sudicio pagliericcio, ma banchi di cemento e una lurida coperta. Vivà ha reagito con ogni forza all’avvilimento fisico e, morale. Era fra le più intrepide e coraggiose. Sul braccio destro le deportate portavano il loro numero. Vivà aveva il n. 31635».