Fu uno scandalo giudiziario che si è protratto per quasi tre lustri e che arrivò a scalfire il cuore dello Stato. L’oggetto di questo processo civile, alcune dichiarazioni che la Merante rilasciò a Luigi De Magistris. Secondo la Corte d’Appello di Catanzaro avrebbe offeso e denigrato l’ex protagonista dell’indagine del pm napoletano
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Definito in Appello il lungo iter processuale di tipo civile che vedeva contrapposto Antonio Saladino alla “super testimone” della nota vicenda giudiziaria denominata “Why Not”, Caterina Merante. La Merante è stata condannata dalla Corte d’Appello di Catanzaro a risarcire Saladino per averne leso e offeso la dignità, reputazione e onorabilità personale.
L'inchiesta
Why Not fu uno scandalo giudiziario che si è protratto per quasi tre lustri e che arrivò a scalfire il cuore dello Stato. Una vicenda che generò diversi filoni processuali e che si sciolse come neve al sole dopo aver primeggiato sulle prime pagine di mezzo mondo. Uno scandalo mediatico-giudiziario che trascinò nella polvere aziende, manager, magistrati, ministri politici e finanche il Governo Prodi. Scandali e contro scandali tirati fuori come scatole cinesi nel corso degli anni. Una travagliata e paradossale vicenda giudiziaria che finì in una grande bolla di sapone. L’unico che ne trasse benefici fu proprio il PM di quell’inchiesta: Luigi De Magistris. L’ex magistrato, infatti, grazie alla notorietà raggiunta con quella inchiesta giudiziaria, e grazie ai network che ne sostennero l’azione, dopo aver abbandonato la toga, si buttò in politica e, dapprima conquistò un seggio al parlamento Europeo, e poi la poltrona di Primo cittadino della città di Napoli. Tutto iniziò dalle dichiarazioni di Caterina Merante, presidente del Cda della società Why Not e, fino ad un certo punto, fidata collaboratrice dello stesso Antonio Saladino. Sgonfiata la bolla giudiziaria, tra le altre cause di risarcimento in danno che Saladino intentò nei confronti dei suoi detrattori, anche quella contro la Merante e oggetto della sentenza di qualche giorno fa. L’oggetto di questo processo civile, alcune dichiarazioni che la Merante rilasciò a Luigi De Magistris nel corso dell’inchiesta e un’intervista al quotidiano la Stampa.
“La circostanza riferita dalla Merante, così testualmente espressa “ADR. Il dr. Saladino, pur di annientare la volontà delle persone che lavoravano attorno a lui, in particolare alla NEED, induceva tutti a fare uso di psicofarmaci; ci ha provato anche con me, ma senza riuscirci; altre persone ne hanno fatto uso pur di assecondare la volontà del capo”. Questo il passaggio incriminato e oggetto della richiesta di risarcimento e, a tal proposito, nelle motivazioni della sentenza di condanna, i giudici della Corte d’appello di Catanzaro affermano: “Non è dato sapere quale fosse la domanda, ma dai riscontri probatori in atti può darsi per certo che i fatti di cui alla risposta siano falsi”; -proseguono ancora i giudici della CdA di Catanzaro- “non v’è dubbio che il fatto addebitato al Saladino – di spingere i dipendenti a fare uso di psicofarmaci per annientare la loro volontà – abbia un contenuto denigratorio ed offensivo” – e ancora- “si tratta di circostanza atte ad offendere l’onorabilità e la dignità personali, e dunque a ledere la reputazione del soggetto destinatario di tali addebiti, compromettendone l’immagine anche sociale”. Motivazioni pesanti quelle addotte dalla Corte d’Appello. Quello che appare irrisorio in questa sentenza è l’importo 5000 euro. E come se la montagna avesse partorito un topolino.
Pa.Mo.