Vi racconto i migranti. Vi racconto le loro storie. I volti, le lacrime, la paura, le botte, le ferite, la fame, la sete, il freddo e la speranza. E’ stato un anno durissimo il 2017. Nei porti calabresi sono arrivati migliaia di disperati del mare. Migliaia di vite in cerca di una seconda opportunità. Gente che scappa dalla fame o dalla guerra. Solo quest’anno ho documentato più di dieci sbarchi e ho raccolto le testimonianze di tante persone.

Erano più di 1600 anime stipate nella nave, in una delle giornate più calde e afose dell’anno. Appena arrivata ho scorto una miriade di braccia fuoriuscire dall’imponente imbarcazione attraccata al porto. Si sentivano urla disperate. Le urla dei migranti che chiedevano acqua. "Water! Water! Water please! Water please!”.


Dalla banchina i soccorritori hanno iniziato a distribuire le bottiglie, ma sembravano non bastare tanta era la richiesta: c’erano urla che provenivano da lontano. Un giovane è salito sulla prua. Voleva lanciarsi. E’ stato fermato appena in tempo dai suo amici di sventura.

 

Un altro giorno, un altro sbarco. Un’altra storia. Quella di un papà e della sua famiglia. Perseguitati politici. Stavano bene in Tunisia prima che arrivasse la finta primavera araba a turbarne l’esistenza. Lui aveva un buon lavoro, le figlie studiavano e la moglie si occupava della casa. Poi la loro vita è improvvisamente cambiata e il capo famiglia aveva deciso di scappare in Italia. “Non potevo uscire di casa - racconta in lacrime la ragazza - Avevo paura. Temevo che non sarei mai arrivata in Italia e invece ce l’abbiamo fatta. Ora vedo il sole”.
I migranti hanno viaggiato in condizioni disumane. Molti arrivati con ferite ed escoriazioni, con bruciature perché troppo vicini ai motori incandescenti di vere e proprie carrette del mare. Alcuni con il corpo pieno di ecchimosi. Come Blizzy, una ragazza ivoriana di venticinque anni che ho incontrato all’ospedale di Vibo. Doveva subire un intervento all’occhio. Era sola e spaventata. Un infermiere l’ha tranquillizzata. La ragazza ha raccontato quel che le hanno fatto durante la traversata: “Mi hanno colpita all’occhio, mi hanno tirato dai capelli, mi hanno colpito alle braccia”.

 

Ma c’è chi in Italia è arrivato avvolto in un sacco bianco, come una donna di cui non abbiamo mai saputo il nome. Era incinta, al quarto mese di gravidanza. E’ annegata. Nessuno ha chiesto di lei. Eravamo andati a portarle un fiore nel cimitero di Bivona, dove sono custodite le salme dei migranti morti durante le traversate, quando il collega Agostino Pantano ha fatto una scoperta inquietante. La bara era vuota. Qualche settimana dopo, grazie alla nostra denuncia, gli inquirenti hanno scoperto che alcune salme erano state seppellite senza cassa.

 

Ma ci sono stati anche volti che hanno riacceso la speranza davanti a tanta crudeltà. Sono i volti dei bambini. Attorno a loro divise, medici e tanti volontari. I bambini che giocavano a palla sulla banchina del porto trasformata in campetto. Sorridevano, si divertivano, quasi ignari del pericolo scampato. E a loro che penso oggi. E soprattutto a loro auguro un felice e sereno 2018.

 

Cristina Iannuzzi