Il dolore del papà del vigile del fuoco morto nella strage di Quargnento: «Avrei preferito esserci io al suo posto quella notte». Il legame con i familiari delle altre vittime e la sentenza che ha condannato i presunti assassini: «Per soldi uccise tre persone»
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Sedici mesi senza Nino e una condanna a trent’anni per i coniugi Vincenti in primo grado ritenuti. A un mese dalla sentenza raccontano del processo di Alessandria, Maria Stella Ielo e Angelo, genitori di Antonino Candido, il pompiere reggino, vittima insieme ad altri due colleghi, dell’esplosione della cascina di Quargnento del 5 novembre 2019.
Che ragazzo era Nino?
«Descriverlo solo a parole è difficile – chiarisce la mamma, Maria Stella Ielo - sin da piccolo è stato sempre un ragazzo molto solare, amante della vita, giocherellone, mi spuntava da dietro e mi faceva degli scherzi.
Era soprattutto un ragazzo altruista. Ancora oggi, parecchi amici si sentono persi senza di lui e vengono a trovarci, continuano a frequentare casa nostra nella speranza di trovare in noi quello che hanno perso con Nino. Ma lui lo faceva non solo con gli amici, ma con chiunque avesse bisogno. Purtroppo la sua vita è stata breve anche se intensa».
Il giovane pompiere reggino aveva seguito le orme di papà Angelo, a lui abbiamo chiesto quando si è accorto che Nino voleva fare il vigile del fuoco. «Anche da piccolo parecchie volte lo portavo con me al lavoro e lo vedevo interessato ai mezzi,alle attrezzature. Poi l'ha concretizzato da grande, quando ha fatto il corso per fare il volontario nel corpo dei vigili, iniziava a sentire suo il lavoro, ha compreso il lavoro a contatto con le persone. Non era fatto per un lavoro di ufficio Antonio. Alla fine ha fatto il concorso per diventare vigile permanente».
Sempre a papà Angelo abbiamo chiesto: cosa ha pensato da vigile del fuoco quando è accaduto il fatto? «Io l’ho saputo la mattina, mentre andavo a lavorare. Abbiamo tre tipi di turni A, B e C. A e C si incrociano la mattina per darsi il cambio. Io ero turno A e lui turno C quel giorno. Alcune volte scherzavano, ci dicevamo “Collega vengo a darti il cambio" e invece la mattina mi è arrivata la notizia di quello che era successo nella notte. Non volevo crederci, ma conoscendo il nostro lavoro poteva essere una realtà, ma non focalizzavo che poteva essere successo. Quello che ho pensato era che avrei preferito essere io al suo posto, perchè lui era troppo giovane».
Poi tocca alla madre di Nino. È arrivata la condanna, era quello che vi aspettavate? «I trent'anni che sono stati dati ai coniugi Vincenti potrebbero anche soddisfarci, la condanna è molto pesante ma più che meritata dopo il gesto che hanno fatto. Noi chiedevamo solo giustizia perchè per amore dei soldi hanno ucciso tre persone ed il minimo che potessero avere. Nessuno ci dar più indietro i nostri figli, però a loro era dovuto perchè chi ha sbagliato deve pagare il proprio debito con la società».
In questo triste frangente avete instaurato rapporti coi parenti degli altri vigili morti quella notte?
«Sì noi sin da subito abbiamo avuto contatti con le due famiglie: i genitori di Marco, di Matteo. Un'amicizia nata in una brutta circostanza, accomunati dal dolore. Ci sentiamo spesso con la mamma di Marco, col fratello, col fratello di Matteo. In questi 15 mesi siamo sempre stati uniti e abbiamo cercato insieme di combattere per avere i risultati. Quel giorno in aula è stata un'emozione molto forte perchè tutti aspettavamo la condanna, la prima cosa che ci siamo detti con Anna, la madre di Marco è stata: "Ce l'abbiamo fatta, in nome di Marco, di Nino e di Matteo”. Adesso l'unica cosa che speriamo è che questi 30 anni vengano fatti tutti. Perchè i legali hanno già annunciato che andranno in appello.
In aula quel giorno era presente il signor Vincenti, la Patrucco non si è presentata. Qualcuno mi ha chiesto cosa provo nei confronti di Vincenti. Mi fatto molta pena, sembra una persona sofferente, forse a distanza di tempo ha capito la gravità di quello che hanno fatto. È un tarlo che lo accompagnerà per il resto della sua vita. Non so se il suo è un pentimento. però nelle udienze precedenti ha accennato delle scuse che non sembravano sincere, reali, sembravano frasi scritte dai suoi legali. Ci ha chiesto scusa, perché il perdono sa di non poterlo avere perchè ha causato troppo dolore. Ha letto quelle quattro righe e non si è rivolto a noi, ma alla corte. E questo mi ha fatto stare male».
Altre parole ed altri pensieri la madre di Nino riserva invece ad Antonella Patrucco. «Non saprei definire la figura della moglie, è sempre stata una persona molto fredda, calcolatrice, durante le udienze mi è capitato di incrociare il suo sguardo ma non trasmetteva nessuna emozione, sempre quella freddezza cona ria quasi di sfida. E questo fa capire che lei ha avuto una parte molto importante nel piano, sicuramente è stata lei la mente e lui il braccio».