Il 52enne di Reggio Calabria viveva da tempo in Lombardia con la moglie e il figlio. Sulla bara è stata posta una maglia della Reggina
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«Un macchinista non muore mai, cambia solo deposito, non cambia mestiere». Il momento più intenso del funerale di Giuseppe Cicciù, morto a 51 anni alla guida del Frecciarossa deragliato giovedì scorso vicino a Lodi, è quando prendono il microfono i suoi colleghi.
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Un lungo corteo di chi vuole lasciare una poesia, un ricordo una promessa: sono tanti i compagni di viaggio, in divisa e no, che si alternano alla fine della cerimonia nella chiesa di San Giuseppe, a Cologno Monzese, cittadina in cui ‘Peppe’, come lo chiamavano tutti, era arrivato da Reggio Calabria «per realizzare il suo sogno di diventare ferroviere come il padre».
Rabbia e tenerezza per un uomo adorato da tutti «per la sua lealtà, il suo sorriso, la sua generosità» si fondono nella chiesa strapiena. C'è ira anche nelle parole delle istituzioni: l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, attraverso don Giuseppe a cui ha affidato un messaggio in sua assenza, parla di «morte ingiusta e imprevista», sottolineando che la moglie Paola e il figlio adolescente, seduti accanto alla madre della vittima, «sono troppo giovani per restare soli» e anche il sindaco di Cologno Monzese, Angelo Rocchi, osserva che «c’è un po’ di rabbia, quello che è successo non è giusto».
Nella sua omelia, don Antonino, il parroco venuto da Reggio Calabria per rendere omaggio al macchinista conosciuto quando era ragazzino, invoca un Paese «dove le ferrovie siano sicure e non si muoia più». Regala l’immagine di Giuseppe come «un uomo che ha affrontato tante battaglie e difficoltà, a cominciare dalla morte prematura del padre, che però non l’hanno mia inasprito perché, quando arrivava, portava serenità e un sorriso».
Silenziosa la presenza alle esequie della ministra dei Trasporti, Paola De Micheli, e dei vertici di Ferrovie dello Stato (Gianluigi Castelli e Gianfranco Battisti), Trenitalia (Orazio Iacono) e Rete Ferroviaria Italiana (Maurizio Gentile). E allora tra tanti gonfaloni, tra cui quello del Genio Ferrovieri in cui Cicciù fece il militare, c’è spazio per le emozioni di chi indossava la divisa di Peppe, in quella che viene definito da uno degli oratori “la nostra amata azienda”.
«Ti parliamo come se fossi davanti a noi, come se fosse un incubo da cui svegliarsi, ma non è così: Dio ci ha privati della tua meravigliosa presenza, ma non del tuo ricordo. Eri sempre alla ricerca dell’efficienza, ogni attività è importante, ma tu eri quello che faceva muovere il treno, eri quello che faceva gol; abbiamo perso un fratello, siamo tutti più soli».
Tanti i riferimenti anche a Mario Dicuonzo, l’altro macchinista morto nell’incidente (domani i suoi funerali) su cui la procura di Lodi ha aperto un’inchiesta indagando i 5 operai che si occuparono della manutenzione dello scambio e la società Rfi. «Anche se la linea è impervia, tortuosa o in salita - così si conclude la poesia scritta e letta per Cicciù - un macchinista trema ma accetta la sfida, si fida del treno, suo compagno di vita».