La sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dall’avvocato Domenico Infantino e ha annullato la condanna di 8 anni di reclusione nei confronti di Francesco Pesce classe 1984. Il rosarnese era accusato di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti che era stata pronunciata dalla Corte di Appello di Catania. La vicenda prende spunto da una indagine promossa dalla Dda di Catania per contrastare un collegamento tra organizzazioni criminali siciliane e calabresi. Tramite diversi elementi investigativi, tra cui intercettazioni telefoniche e ambientali nonché svariati controlli sui territori di entrambe le regioni, era stato scoperto un ingente traffico di stupefacenti tra cosche.

Nell’ambito di questa articolata operazione è stato inizialmente inserito anche Pesce, ritenuto membro di spicco della cosca Pesce di Rosarno e già condannato nell’ambito dell’operazione “All inside” della Dda di Reggio Calabria. Secondo la prospettazione della procura catanese, Pesce era stato ritenuto un anello di collegamento tra Calabria e Sicilia nella veste di fornitore stabile di stupefacente per il gruppo criminale operante nel catanese, ad Adrano, che vede tra i suoi promotori Vito Di Stefano, Ignazio Vinciguerra e Giovanni Pappalardo.

Per tale ipotesi di reato la corte di secondo grado aveva condannato Francesco Pesce a 8 anni di reclusione. Nella giornata di ieri, invece, all’esito della vicenda giudiziaria iniziata nel 2006, la Cassazione ha accolto il ricorso presentato dall’avvocato Infantino, che aveva segnalato le assolute e insanabili illogicità della motivazione, e ha annullato senza rinvio la sentenza di condanna così bocciando, senza necessità di ulteriore revisione, l’ipotesi dell’accusa.