La slavina giudiziaria che sta investendo il distretto di Catanzaro, travolgendo giudici, avvocati e professionisti di varia natura, rischia di tracimare in politica. E investire come un treno la Lega che la propaganda new course di Matteo Salvini racconta legalitaria e schierata con i magistrati.

 

Ma cotanta retorica rischia di scontrarsi con un problema pratico e politico, che potrebbe polverizzare i proclami antimafia che da ogni palco calabrese il Capitano ha lanciato. E il problema si chiama Domenico Furgiuele, ancora una volta in imbarazzo per l’ingombrante suocero, Salvatore Mazzei, già condannato per estorsione e destinatario di un sequestro antimafia, il cui nome è saltato fuori fra quelli dei clienti del suq della Corte d’Appello di Catanzaro.

Assenze significative?

Assai ridimensionato dopo il commissariamento del partito, Furgiuele non è sembrato particolarmente a suo agio con la nuova favella antimafia del suo Capitano. E si è fatta notare e ha fatto discutere la sua assenza durante la visita di Matteo Salvini a “casa” di quei carabinieri di Vibo Valentia, che con il coordinamento della procura guidata da Nicola Gratteri hanno iniziato a smantellare il regno dei Mancuso e dei clan affiliati con Rinascita-Scott, innescando quella slavina giudiziaria che sta mettendo a nudo il sistema massonico-mafioso che asfissiato mezza Calabria e forse non solo.

Crocevia Mazzei

Quell’assenza Furgiuele non ha mai inteso spiegarla. Ma adesso – qualora via Bellerio decidesse di essere coerente con quanto in piazze e su palchi proclamato – potrebbe essere chiamato a esprimersi sul suocero. E magari anche sul suo personalissimo ruolo all’interno dell’impero imprenditoriale Mazzei, poi sequestrato su richiesta della Dda di Catanzaro.

Sequestro di famiglia

Un provvedimento che non ha colpito semplicemente l’imprenditore ma tutta la sua famiglia – signora Furgiuele inclusa – perché «le risorse, ab origine fornite dal capostipite – si leggeva nel provvedimento - sono state trasferite indistintamente fra persone fisiche e soggetti collettivi, a seconda dell’abbisogna del momento».

Centomila euro per una sentenza

Quel provvedimento, per il quale pende ancora il ricorso alla Corte d’appello di Catanzaro, a patron e famiglia non è mai andato giù e questa non è una novità. Di nuovo ci sono i tentativi – illeciti – di comprare una sentenza favorevole in appello o almeno di far cadere l’aggravante mafiosa. Prezzo? Centomila euro – racconta intercettato il faccendiere Mario Santoro al presidente della Bcc di Crotone, Ottavio Rizzuto, finito prima in carcere e poi ai domiciliari come uomo dei Grande Aracri – consegnati allo scopo al commercialista Antonio Claudio Schiavone. Per gli investigatori della Finanza che hanno analizzato quelle conversazioni, non ci sono dubbi. Schiavone «avrebbe ottenuto delle somme di denaro da parte dell'imprenditore lametino al fine di interferire sul predetto giudice per fare restituire dei beni sottoposti a sequestro nell'ambito di una indagine della Dda di Catanzaro».

E nelle carte di Salerno spunta il nome di Petrini

Il «predetto giudice» è l’ormai ex presidente di sezione di Corte d’appello di Catanzaro finito in manette per aver addomesticato sentenze penali, civili e tributarie in cambio di denaro, cassette di arance, clementine e gamberoni, le grazie di una serie di avvocatesse e regali vari. Da qualche settimana ha iniziato a collaborare con i magistrati, non solo confermando gli addebiti, ma – si dice – dando nuovi elementi e spunti. O forse confermando e approfondendo tutti quegli elementi emersi nelle lunghe chiacchierate intercettate con Santoro. Durante le quali la “vicenda Mazzei” salta fuori con ancora più dettagli.

 

È Santoro a chiedere informazioni al riguardo sui possibili esiti. «Ma l'associazione non gli cade?» gli si sente dire interessato. Ma quello che emerge è anche il metodo ideato per addomesticare quella pronuncia: una consulenza pilotata di Schiavone, chiarisce lo stesso faccendiere durante l’interrogatorio di fronte ai pm di Salerno. «Ha fatto la perizia a Mazzei che diceva che i soldi si... che era tutto a posto» confessa Santoro. Servizio a pagamento, ovviamente. «Quindicimila euro – informa sdegnato Petrini – sono troppi». Da dove l’imprenditore lametino abbia tirato fuori il denaro con l’intero patrimonio sotto sequestro non è dato sapere, ma magari la risposta sta dietro i larghi omissis, che significano elementi da approfondire.

Scrivi Terina leggi Furgiuele (con Mazzei in filigrana)

E gli approfondimenti potrebbero riguardare anche Furgiuele, che nella storia imprenditoriale della famiglia Mazzei ha avuto un ruolo con la società Terina. Costituita il 26 giugno 2010, cioè quando già era partita l’istruttoria per le misure di prevenzione a carico di Mazzei, era detenuta per l’80% dalla cognata di Furgiuele, Maria Concetta Mazzei e per il 20% dall’attuale deputato leghista, che però viene nominato amministratore e tale rimarrà fino al 4 maggio 2018, due mesi dopo l’elezione alla Camera in quota Lega. La società è nuova di pacca, tuttavia presenta tutta una serie di analogie con l’impero Mazzei. E non solo perché la cognata del deputato ha ruoli e quote in una serie di società del gruppo.

Imprese copia conforme

Identico a quello di molte ditte, come a quelli di residenza di Salvatore Mazzei e della moglie e di domicilio della principale socia, è l’indirizzo della sede legale della Terina, come l’oggetto sociale. E identici sono gli affari grazie ad un “provvidenziale” affitto di ramo d’azienda, che arriva il 22 novembre del 2010, cinque giorni dopo la notifica della sorveglianza speciale all’imprenditore Salvatore Mazzei. È in quella data che la Terina ottiene dalla Co.ge.ma, uno dei pilastri dell’impero societario del suocero poi finito sotto sequestro, «tutte le commesse, pubbliche e private, attive al momento della cessione» e persino le attrezzature.

Le esili giustificazioni di Furgiuele

Intervistato da Repubblica, Furgiuele si è sempre detto colpevole di essere solo innamorato della propria moglie. Tuttavia è difficile pensare che nulla sapesse della società di cui era amministratore se è vero che il 18 gennaio 2011, la sede legale della Terina cambia e si colloca nello stesso palazzo di proprietà della moglie Stefania, in cui lui stesso risulta domiciliato. E che nel 2015 ne diventa addirittura socio di maggioranza. Di certo, appena diventa deputato il neo-onorevole calabro del Carroccio ritiene opportuno prendere le distanze dalla società. E il giochino si ripete.

Fuga dopo la vittoria

Furgiuele si disfa rapidamente delle sue quote, come dell’incarico di amministratore, e lo stesso fa la cognata. Incamera tutto la Proelia, un’altra società nuova di pacca, ma sempre di famiglia, perché in mano ad Armando Mazzei, altro cognato di Furgiuele, e alla moglie. Insomma, rimane tutto in famiglia. Le cui fortune per i magistrati hanno un’origine unica. Perché nel corso della sua attività imprenditoriale Salvatore Mazzei «non ha fatto altro, nel corso degli anni, che veicolare tali somme ‘inquinate’ nelle società di famiglia in tal guisa finanziandole e, di fatto, tenendole in vita».

Vicolo cieco per Salvini?

E qui si arriva al problema politico. Perché, a meno di spericolate capriole dialettiche, risulta complicato sgolarsi a favore della procura di Nicola Gratteri e al contempo legittimare chi si è mosso, con ruolo e cognizione, nell’alveo di una famiglia imprenditoriale destinataria di un provvedimento di sequestro chiesto da Gratteri. E che secondo le ultime risultanze emerse dall’inchiesta di Salerno, Mazzei avrebbe provato a ribaltare anche comprando una sentenza favorevole. Una grana che esplode proprio nel delicatissimo momento delle contrattazioni per la Giunta. E con Furgiuele che scalpita per ritrovare il posto al sole che con il commissariamento ha perduto.