«Ciascuno dei protagonisti ha agito per fini squisitamente personali di ottenere per sé provvedimenti giudiziari favorevoli». Così scrive nelle motivazioni della sentenza il gup del Tribunale di Salerno, Vincenzo Pellegrino, che lo scorso 23 novembre ha condannato a quattro anni e quattro mesi di reclusione l'ex presidente di sezione della Corte d'Appello di Catanzaro, Marco Petrini. Il magistrato coinvolto nell'inchiesta Genesi con l'accusa di corruzione in atti giudiziari per aver acconsentito di intervenire modificandole sentenze dietro la corresponsione di denaro o altre utilità. 

Nessuna continguità mafiosa

Per il Gup del Tribunale di Salerno, Vincenzo Pellegrino, non vi sono quindi i presupposti per sostenere «l'agevolazione del sodalizio mafioso». Si tratta, in particolare, della locale di Guardavalle operante su tutto il territorio del basso ionio catanzarese. «Francesco Saraco agiva nell'interesse personale del padre Antonio Saraco, Emilio Santoro e Marco Petrini esclusivamente per proprio tornaconto personale ed economico. Nessuno dei suddetti imputati si è mai dimostrato minimamente interessato ad agevolare il sodalizio mafioso in qualunque modo possibile».

La collaborazione

L'ex dirigente dell'Asp di Cosenza, Emilio Santoro, è stato condannato ad una pena di tre anni e due mesi di reclusione (difeso dall'avvocato Michele Gigliotti) mentre l'avvocato Francesco Saraco a un anno e otto mesi di reclusione per la concessione delle attenuanti legate alla collaborazione. In particolare, scrive il gup nelle motivazioni della sentenza «Emilio Santoro primo fra tutti gli attuali imputati già nell'interrogatorio di garanzia rendeva non solo confessione in particolare del rapporto corruttivo che lo legava a Marco Petrini ma anche a dichiarazioni che consentivano la scoperta del coinvolgimento in tutti i fatti corruttivi di Antonio Schiavone».

Francesco Saraco

Si tratta del commercialista cosentino anche lui rimasto coinvolto nell'inchiesta. «Francesco Saraco, sebbene sia stato l'ultimo in ordine di tempo ad aprirsi alla collaborazione è stato certamente quello che tra gli imputati ha reso la confessione più organica, più coerente in tutti i passaggi logici e cronologici, più aperta e quasi catartica dando un contributo non solo apprezzabile quanto ai fatti già sufficientemente noti, in particolare per il ruolo di primo piano svolto in essi da Antonio Schiavone ma decisivo per quelli relativi ad esempio alla vicenda Caligiuri, Catizzone.

Marco Petrini

Quanto a Marco Petrini (difeso dagli avvocati Agostino De Caro e Francesco Calderaro) il dubbio che si è nutrito in merito alla concedibilità della circostanza attenuante è sciolta in senso positivo. Marco Petrini, immediatamente dopo l'esecuzione del provvedimento cautelare intraprendeva un percorso di collaborazione che vedeva momenti qualificanti nella confessione dei reati. Non può sottacersi però che l'imputato ha reso sì formale, costante e ripetuta confessione dei fatti che gli sono stati contestati ma che l'accompagnava con prolusioni che a volte apparivano svianti. A leggere le dichiarazioni dell'imputato sembrerebbe che egli abbia subito più che ricercato gli accordi corruttivi confessati, quasi solo per liberarsi del petulante Emilio Santoro. In molte parti delle sue dichiarazioni l'imputato si è limitato alla confessione della partecipazione all'accordo corruttivo ritagliandosi un ruolo - inverosimile - passivo. A questo si aggiunga l'atteggiamento ondivago tenuto in occasione degli interrogatori resi al Pm, in particolare in quelli del 5 e del 25 febbraio 2020, Marco Petrini rendeva dichiarazioni che alla luce delle ulteriori investigazioni risultavano non veritiere e che comunque successivamente ritrattava fornendo il 17 aprile del 2020 spiegazioni di questo suo comportamento contraddittorio che egli rinveniva nello stato di prostazione e di confusione mentale ma di cui - sia inteso - nulla traspariva dalla lettura dei suddetti interrogatori».