La sua reclusione è finita oggi con la comunicazione dell’esito negativo del tampone per la ricerca del Covid, ma Elena, lametina dal carattere di ferro, fino a ieri era ufficialmente positiva. Il tutto anche se il tampone che ne avrebbe dichiarato il termine dell’infezione avrebbe dovuto esserle fatto oltre dieci giorni prima.

 

Dieci giorni di attesa e di reclusione che si vanno a sommare ad una serie di anomalie nella gestione del virus, di scaricabarile e veri e propri muri. La sua è una storia emblematica che racconta sotto più punti di vista il collasso del sistema sanitario. A lanciare l’allarme su quanto stava accadendo, su un apparato che si stava sgretolando dietro l’aumento dei contagi, Elena è stata una delle prime con ripetuti post su facebook, ma con il passare dei giorni si è potuto purtroppo constatare come le sue denunce si cristallizzassero nella storia di tanti, troppi.

 

Quello che ne viene fuori è una sanità che tra la carenza di risorse umane e di mezzi annaspa e perde per strada pezzi importanti del sistema di gestione e prevenzione. Ad oggi tre dei suoi contatti stretti risultati poi positivi non sono stati mai comunicati ufficialmente al Comune, ci spiega Elena, e non hanno quindi mai avuto ordinanza di quarantena.

 

Tanti, troppi aspettano ancora un tampone e sono ostaggi in casa propria, i tracciamenti sui posti di lavoro sono rallentati, manca benzina per un sistema affaticato e provato. Ma la sua è una vicenda nata male, ci spiega, a partire da quel primo tampone che si è dovuta recare a fare di persona nonostante la febbre alta. Poi il tracciamento dei contatti avuti fatto direttamente da lei,  avvisando di persona quanti l'avevano frequentata sia nella cerchia familiare che in quella delle amicizie e lavorativa.

 

A “ingarbugliare” la situazione la nuova circolare ministeriale che non rende più obbligatori i tamponi sui contatti stretti a meno che questi non abbiano sintomi. Sintomi che ad alcuni familiari di Elena purtroppo sono venuti, persone che per lavoro frequentavano ambienti popolosi, e che sarebbero poi risultati positivi.

 

Eppure per potere essere sottoposti al test sono passati giorni, giorni in cui Elena anziché cedere alla rassegnazione ha telefonato, scritto, inviato e mail e pec, denunciato sui social, chiamato i carabinieri. La sua “odissea” sarebbe potuta forse finire prima, ma l’ultimo tampone le è stato fatto circa dieci giorni dopo rispetto al cronoprogramma ministeriale amplificando la sua reclusione, ma anche la frustrazione.

 

Ora il lieto fine con l’esito del molecolare negativo e la libertà riacquisita, ma per tanti la disavventura ancora continua. La Calabria è in guerra sostanzialmente senza armi. A giorni dovrebbero arrivare i rinforzi richiesti, medici ed infermieri.