Oltre 36 anni di reclusione sono stati inflitti dal Tribunale di Reggio Calabria nei confronti del branco che violentò una ragazzina a Melito Porto Salvo. Le decisioni sono sicuramente più miti rispetto alle richieste della Procura, ma confermano totalmente l’impianto accusatorio.

 

La sentenza

Otto anni e due mesi sono stati inflitti a Giovanni Iamonte, il figlio del boss, accusato di aver avuto un ruolo di rilievo nella vicenda ma la pena più alta è stata per Davide Schimizzi, per il quale i giudici hanno stabilito una condanna a 9 anni, sei mesi e otto giorni di reclusione a fronte di una richiesta di 16 anni e mezzo. Pena severa anche per Antonio Verduci, sette anni, e per Lorenzo Tripodi, sei anni. Spiccano, invece, le assoluzioni di Pasquale Principato e Daniele Benedetto, per i quali i pm avevano chiesto rispettivamente 8 e 7 anni di reclusione. Dieci i mesi di prigione inflitti Domenico Mario Pitasi che, però, non rispondeva di reati di tipo sessuale.

 

La notizia è che tutti sono stati scarcerati, ad eccezione di Schimizzi e Iamonte che, allo stato, si trovano ristretti ai domiciliari.

La vicenda

Gli imputati dovevano rispondere di reati molto gravi quali quelli di violenza sessuale di gruppo aggravata, atti sessuali con minorenne, detenzione di materiale pedopornografico, violenza privata aggravata, lesioni personali aggravati, atti persecutori e favoreggiamento personale.

 

Tutto nasce dall’innamoramento di una ragazzina tredicenne per Davide Schimizzi. Questi, per un periodo di tempo suo fidanzatino, alla fine la fa sprofondare in un incubo. La rottura di una relazione, solo in apparenza normale, è dettata dal fatto che la ragazza sente un giovane che la corteggia. Schimizzi la prende molto male e per concederle il “perdono” le chiede di concedersi anche ai suoi amici. È lì, in quel momento, che ha inizio il calvario della giovane che stava già vivendo una non semplice situazione familiare. Una fragilità su cui il branco si è accanito senza pietà, facendola diventare l’oggetto di un perverso disegno sessuale che ha minato i meandri più profondi dell’anima di un’adolescente. Lei ci prova ad uscire dalla morsa di quelle violenze fisiche e psicologiche, trova un altro fidanzato che può darle quell’amore tanto agognato. Ma è una speranza effimera poiché il branco lo scopre e picchia il giovane, intimandogli di lasciare perdere quella relazione. È un momento delicatissimo, anche perché la vita familiare della ragazza è messa alla prova dalla separazione dei genitori. Che, in un primo momento, faticano a comprendere il disagio della loro figlia. Leggendo un tema, si scopre l’orrore di cui è vittima quella ragazzina poco più che adolescente. L’insegnante è fondamentale per far venire a galla la verità ed è in quel momento che anche la famiglia prende coscienza della triste storia di cui è protagonista la figlia.

 

Il resto è storia nota, con l’inchiesta aperta dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria ed i successivi arresti. Così come quel clima assai strano che si è respirato a Melito Porto Salvo per lungo tempo. Un clima che, per fortuna solo per una minima parte, quasi tendeva a mitigare le responsabilità degli aguzzini della giovane. Oggi questa sentenza che fa giustizia e inchioda il branco. Una consolazione magra, purtroppo, per la vita di una giovane certamente segnata in modo irreversibile e per la quale non ci sarà mai condanna sufficiente a cancellare quell’orrore.