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Avviso di conclusione delle indagini preliminari della Procura di Vibo Valentia per l’inchiesta sulla “Strada del mare” scattata il 4 marzo dello scorso anno con un sequestro di beni per equivalente per l’ammontare di oltre quattro milioni di euro. L’indagine è stata chiusa dal procuratore facente funzioni, Michele Sirgiovanni, e mira a far luce su una serie di reati consumati attorno alla più cospicua opera pubblica mai pensata nella provincia di Vibo Valentia e che nelle intenzioni doveva collegare Rosarno a Pizzo passando lungo la costa vibonese.
Gli indagati raggiunti da avviso di conclusione delle indagini preliminari sono: l’imprenditore Vincenzo Restuccia, 76 anni, di Rombiolo, direttore tecnico delle imprese Restuccia; Antonino Scidà, 51 anni, direttore tecnico delle imprese di Restuccia; Giacomo Consoli, 65 anni, di Vibo Valentia, ex dirigente dell’ufficio Lavori Pubblici della Provincia di Vibo Valentia, Antonio Francolino, 52 anni, funzionario della Provincia e responsabile unico del procedimento per la costruzione della “Strada del Mare”, Francesco Giuseppe Teti, 65 anni, di Filogaso, ex funzionario della Provincia di Vibo Valentia.
Irregolarità nei lavori e nell’intera gestione dell’appalto vengono ipotizzate nell’inchiesta del pm Sirgiovanni che aveva aperto tale filone investigativo nel 2014 nell’ambito della più vasta inchiesta sull’ente Provincia. Vincenzo Restuccia è difeso dall’avvocato Giovanni Vecchio, Antonino Scidà dall’avvocato Francesco Gambardella, Francesco Giuseppe Teti dall’avvocato Giuseppe Di Renzo, Antonio Francolino e Giacomo Consoli dall’avvocato Antonello Fuscà.
Le accuse. Le ipotesi accusatorie partono dalla gestione della progettazione dell’opera per arrivare alla sua approvazione da parte della direzione lavori e del responsabile del procedimento. Secondo quanto accertato dalle fiamme gialle, in ben undici casi è stato dichiarato lo stato di avanzamento che ha consentito, a favore dell’impresa aggiudicataria, il pagamento di importi nettamente superiori rispetto a quelli corrispondenti al valore dei lavori effettivamente realizzati.
Per l’accusa, quindi, le somme dei ogni singolo Sal sarebbero state artatamente “gonfiate” concordando le percentuale da applicare di volta in volta e inserendo indebitamente lavori non previsti nel progetto iniziale, sul falso presupposto che fossero necessari per l’esecuzione a regola d’arte. Sarebbero anche emersi dei pagamenti effettuati dalla Provincia utilizzando risorse finanziare destinate ad altri fini, stornando fondi da un capitolo di bilancio all’altro. I cinque indagati devono rispondere, a vario titolo, di truffa aggravata ai danni di ente pubblico e falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici.
Gli indagati avranno ora venti giorni di tempo per chiedere al pm di essere interrogati o per presentare eventuali memorie difensive.
Giuseppe Baglivo