Il duplice omicidio in cui persero la vita Giuseppe Bruno e Caterina Raimondi fu commesso il 18 marzo 2013. Le indagini hanno portato al fermo di un sospettato già recluso per reati di ‘ndrangheta
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Omicidio aggravato dalle modalità mafiose e ricettazione. Sono queste le accuse che pendono sul capo di Francesco Gualtieri, 43 anni di Borgia, già condannato a 12 anni di carcere perché ritenuto appartenente ad una associazione a delinquere di tipo mafioso operante a Roccelletta di Borgia. È questo il contesto territoriale in cui matura il duplice omicidio di Giuseppe Bruno e della moglie Caterina Raimondi, avvenuto nel febbraio del 2013 a Squillace.
Secondo la ricostruzione dei carabinieri del reparto operativo del comando provinciale di Catanzaro che ha condotto le indagini, sotto il coordinamento della Dda, sarebbe stato Francesco Gualtieri l’autore del duplice omicidio. Quella sera avrebbe esploso nove colpi di kalshnikov contro Giuseppe Bruno e uno contro la moglie causandone il decesso. Il movente sarebbe da ricercare nella faida scoppiata per il controllo del territorio tra il clan Catarisano operante tra Borgia e Roccelletta di Borgia e la cosca Bruno di Vallefiorita. All’epoca, infatti, Giuseppe Bruno era assurto a reggente dell’omonimo clan dopo una sanguinosa faida che aveva interessato l’area intorno a Roccelletta di Borgia e affermato la supremazia della famiglia Catarisano sui Cossari.
Le indagini sul duplice omicidio hanno trovato nuova linfa grazie ai racconti dei collaboratori di giustizia ma anche alle intercettazioni cristallizzate nell’inchiesta Kyterion. In particolare, un incontro avvenuto nella tavernetta di Nicolino Grande Aracri avvenuto il 2 agosto del 2012 con argomento la gestione dei profitti derivanti dalle attività di estorsione nell’area del soveratese e, più in particolare, il denaro delle estorsioni in mano a Giuseppe Bruno.
Secondo la ricostruzione, fu durante quella riunione a maturare il sospetto che Giuseppe Bruno «trattenesse per sé il denaro destinato invece al sostentamento economico dei detenuti appartenenti alle famiglie mafiose che operavano sotto l’egida di Nicolino Grande Aracri».
Ancor più sospetto sarebbe apparso «l’atteggiamento di prudenza che adottava Bruno dinnanzi alla proposta fattagli da Grande Aracri di allargare la sua area di competenza territoriale anche a Soverato», il quale al contrario avrebbe espresso scetticismo poiché «un tale agire era pericoloso e foriero di rischi e di scontri con le altre compagini criminali».
Bruno avrebbe poi respinto anche la proposta di compiere un atto intimidatorio ai danni di una impresa di Crotone e avrebbe provocato il disappunto del boss di Isola capo Rizzuto quando alla richiesta di sottoporre ad estorsione una discoteca di Montepaone, Bruno avrebbe confermato di aver ceduto l’attività ad una terza persona. Romolo Villirillo già diffidato da Grande Aracri ad eseguire estorsioni in quella zona.