Un’intera famiglia sterminata mentre fuggiva da Kiev. L’assedio di Mariupol con 200mila persone in trappola. E l’attesa carica di terrore della Piccola Italia sul Mar Nero dove durante la II Guerra mondiale si consumò uno spaventoso eccidio
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In Ucraina si spara sui civili in fuga. L’immagine dell’ottava giornata di guerra in Ucraina è quella di un trolley. Una valigia, di quelle che si portano in vacanza, rimasta in piedi sulle sue ruote, con un carico di banale quotidiana che non verrà più smaltita in cassetti e armadi. Chi la trascinava è accanto alla valigia, senza vita, un’intera famiglia: padre, madre e due figlie. Fuggivano da Kiev attraverso uno di quei famigerati corridoi umanitari che avrebbero dovuto assicurargli l’incolumità, quando un colpo di mortaio li ha uccisi a Irpin, a una ventina di chilometri dal centro della capitale ucraina.
Sono rimasti lì, le bambine con gli zaini della scuola forse senza più quaderni e portapenne ancora sulle spalle, riverse senza vita sul selciato al centro di un incrocio, insieme ai giovani genitori. Uccisi tutti e quattro sul colpo, come da un fulmine.
Scappavano, come il milione di profughi che ha già raggiunto la Polonia, su un totale di 1,6 milioni di civili che hanno abbandonato il proprio Paese. Senza più casa. Senza più affetti. Senza più nulla. Ma loro almeno sono in salvo. A milioni sono ancora bloccati nei territori di guerra.
A Mariupol 200mila persone in trappola
L’assedio più drammatico si sta consumando a Mariupol, città portuale sul Mar d’Azov, tappa fondamentale nell’avanzata russa che punta a conquistare l’intera fascia costiera fino ad Odessa per impedire all’Ucraina l’accesso al mare. A Mariupol ci sono ancora 200mila persone rintanate negli scantinati, nei sottoscala e ovunque ci sia spazio sottoterra per proteggersi dai bombardamenti. Le uniche sortite all’esterno sono quelle che vengono fatte per cercare cibo, acqua e medicinali. La maggior parte dei supermercati sono già stati saccheggiati e ora la situazione, come raccontato da Medici Senza Frontiere, è disperata.
Ottant'anni fa il massacro di Odessa
Altri civili, sempre a centinaia di migliaia, attendono nel terrore ad Odessa, la “Piccola Italia” sul Mar Nero, città bellissima, carica di storia e del ricordo di drammi indicibili, come quello che visse durante la Seconda guerra mondiale, quando nell’estate del 1941 fu occupata dall'esercito romeno, affiancato da truppe tedesche. Tra il 22 e il 24 ottobre dello stesso anno venne compiuto quello che è passato alla storia come il massacro d’Odessa, durante il quale venne sterminata la gran parte della popolazione ebraica della città Ucraina come rappresaglia per un attentato compiuto contro le forze di occupazione. In totale furono impiccati, uccisi a colpi d’arma da fuoco o bruciati vivi tra i 25mila e i 34mila ebrei. Per fare prima, a migliaia furono rinchiusi in grandi capannoni e da alcuni fori praticati nelle pareti vennero mitragliati senza pietà. Poi, per essere certi che non si salvasse nessuno, i magazzini vennero incendiati.
Altre decine di migliaia di ebrei vennero deportati, molti altri furono semplicemente lasciati morire di freddo, soprattutto donne e bambini.
Quando nell'aprile del 1944 arrivarono le truppe sovietiche di liberazione, restavano a Odessa solamente 703 ebrei vivi.
Appena 80 anni dopo, i russi tornano da invasori, non da liberatori. Le navi da guerra sono già schierate al largo e il bombardamento molto probabilmente arriverà dal mare. Per confermare che la storia – purtroppo - non insegna mai nulla.
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