Gli inquirenti lo definiscono il «reale dominus» della «supersocietà», ovvero la galassia di imprese e sigle, grandi e piccole, sorte all’ombra di un autentico colosso della quarta gamma, cioè il settore della produzione, trasformazione e commercializzazione di prodotti ortofrutticoli. Francesco Barbieri, finito in carcere all’epilogo dell’inchiesta condotta congiuntamente da Carabinieri e Guardia di finanza, con il coordinamento della Procura di Vibo Valentia, era – fino al crack della sua Cof, azienda leader con sede a Porto Salvo – un imprenditore di successo che viaggiava su una Maserati Ghibli. Poi si sarebbe trasformato in un bancarottiere, anzi, di più, almeno secondo il compendio indiziario giudicato granitico dal gip: sarebbe stato il vertice di una presunta associazione a delinquere che, oltre a distrarre beni e soldi, avrebbe frodato l’Erario attraverso una serie di spericolate operazioni contabili e finanziarie.

Queste le accuse dalle quali l’indagato – come gli altri congiunti e soci finiti invece agli arresti domiciliari e interdetti dall’attività di impresa – si difenderà sin dalla fase cautelare, davanti al gip che ne ha ordinato l’arresto davanti al Tribunale del Riesame, e che invece il pool del procuratore Camillo Falvo dovrà provare in un eventuale processo.

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«Una elevata potenzialità criminale»

Resta, al momento, la considerevole mole di elementi che carabinieri e finanzieri (documenti, verbali di sommarie informazioni testimoniali ma anche intercettazioni ambientali e telefoniche) hanno acquisito nell’indagine coordinata dai pm Eugenia Belmonte e Ciro Luca Lotoro, che hanno convinto il gip Francesca Loffredo - si legge nell’ordinanza -  della «elevata potenzialità criminale» del «Gruppo Barbieri». Francesco, il «dominus», è il perno dell’indagine: patron della Cof, della quale era, pure formalmente, il vertice, ma patron anche delle ulteriori cinque società fallite, di una delle quali sarebbe stato paradossalmente anche dipendente part-time. Secondo quanto emerge dalle carte dell’inchiesta, peraltro, avrebbe agito in maniera disinvolta e ossessiva per riacquisire i compendi delle società decotte, ponendosi quale interlocutore unico anche delle imprese nelle quali non avrebbe ricoperto alcuna carica o non sarebbe stato legale responsabile. E mentre ciò avveniva, coltivava ulteriori progetti imprenditoriali, interagendo anche con il Ministero delle Politiche agricole «in taluni casi cercando di ottenerne, almeno, il ruolo di consulente economico finanziario, al chiaro fine di lucrare denaro in ogni caso e foraggiare l’esistenza dell’associazione e delle sue attività». Ad un certo punto, siamo nel 2021, il 51enne imprenditore briaticese, puntava ad un finanziamento ministeriale da 12 milioni di euro, adoperandosi nel «formare una squadra di esperti ed imprenditori del settore per garantirsi l’aggiudicazione del bando».

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Il curatore tutto d’un pezzo

A contribuire in maniera determinante a scoperchiare il calderone, il curatore fallimentare nominato dal Tribunale, l’avvocato Francesco Pontoriero, che ha offerto un contributo fondamentale nel far decollare l’indagine. Il 17 dicembre nel 2021, davanti ai carabinieri del Nucleo investigativo di Vibo Valentia, il professionista riferisce un episodio molto particolare: una telefonata ricevuta da un funzionario del Ministero delle Politiche agricole, che voleva chiarimenti su Francesco Barbieri ed una delle società del suo gruppo, la B&F. L’uomo del Ministero comunicava «che aveva convocato – illustra il curatore ai carabinieri – lo stesso Barbieri al fine di capire “come stessero le cose” pur sapendo che l’azienda risultava fallita. Fatti – continua il professionista a verbale – che mi hanno lasciato basito in quanto l’unico soggetto legittimato per le questioni attinenti alla B&F sarei dovuto essere io in qualità di curatore e altresì poiché Barbieri Francesco risulta solo dipendente della B&F e non amministratore, che all’epoca era il fratello Giuseppe».

Quel «saluto massonico»

Quel professionista tutto d’un pezzo incaricato dal Tribunale di Vibo, per l’imprenditore finito sott’inchiesta, sarebbe stato un problema serio. Scrive il gip, nero su bianco: «Non solo ha tentato di avvicinare il curatore fallimentare, avvocato Pontoriero, ma anche di condizionarne l’operato attraverso comportamenti poco ortodossi del proprio legale, il quale non ha nascosto l’intento di voler far leva sulla propria appartenenza ad ambienti massonici». Sin dal primo approccio, il curatore, si sarebbe accorto di qualcosa di strano, sin dalla stretta di mano: «Mi effettuava un segno di riconoscimento – riferisce Pontoriero ai carabinieri – che solo dopo ho compreso essere un saluto di origine massonica». E ancora, scrive il gip in riferimento al legale incaricato dall’imprenditore al centro dell’indagine: «Effettivamente, al termine dell’incontro, comunicava chiaramente la sua adesione alla massoneria e, mediante una serie di allusioni, faceva comprendere al curatore fallimentare la necessità e la convenienza di una eventuale “collaborazione” con loro».

La ricerca ossessiva di Quagliariello

Francesco Barbieri – sempre secondo il quadro indiziario la cui effettiva tenuta dovrà essere provata nel processo – avrebbe anche «tentato di stabilire cointeressenze con personaggi politici di spicco». E, «con ostinazione» e «accanimento», tentava soprattutto di entrare in contatto con il senatore Gaetano Quagliariello «al fine di donargli un presente». Siamo a ridosso del Natale 2021, l’imprenditore di Briatico, giunto a Roma, provava a contattarlo via cellulare, ma il parlamentare non rispondeva mai. A quel punto chiamava l’associazione Magna Carta, la quale riferiva che Gaetano Quagliariello non era in sede. Passerono Natale e Capodanno, poi - nei primi giorni del 2022 - l’ex patron della Cof riferiva all’ex consigliere regionale Salvatore Bulzomì di essere riuscito «per caso» ad incontrare Quagliariello («soggetto che appare assolutamente distaccato e disinteressato», scrive il gip) per consegnargli la strenna.

Il tentativo di avvicinare politici

Ma i tentativi di «avvicinare personaggi politici con i quali ha rapporti di conoscenza e non (allo stato) di meglio specificato tenore, apparentemente ignari dei suoi scopi ed evidentemente non compiacenti», non si sarebbero esauriti qui. Gli inquirenti hanno monitorato anche i rapporti tra Francesco Barbieri e Michele Ranieli, ex deputato della Repubblica, esponente di Noi con l’Italia, ma anche noto avvocato. Si ha riscontro dei loro rapporti e dei loro contatti, si ha riscontro che l’imprenditore indagato considerasse l’ex parlamentare uno che «ha collegamenti dappertutto» e che sia stato Ranieli a suggerire allo stesso Barbieri i nomi di «eminenti professionisti del panorama calabrese in grado di poterlo tutelare nel giudizio di fallimento in corso», ma nessun elemento indica che lo stesso Ranieli sia stato compiacente rispetto a presunti propositi criminosi. Per una completezza assoluta d’informazione: come emerge chiaramente, nessuna delle persone menzionate, oltre l’imprenditore Barbieri, risulta indagato o lambito da sospetti d’illecito.