La passione per i motori e le avventure all’aria aperta, la Reggina e quei 19 anni ancora da compiere. Non si dà pace Pietro Polimeni perché, ancora dopo 16 anni, non sa il motivo per il quale suo figlio Daniele sia stato brutalmente ucciso. Ancora non sa perché il suo ragazzo sia stato privato di tutta la vita che aveva davanti e perché ciò sia dovuto avvenire in un modo così cruento.

«Non l’ho visto crescere. Gli hanno tolto la vita a 18 anni e ancora mi chiedo il perché». Papà Pietro vive nella zona di Tremulini a Reggio Calabria, nella stessa casa dove Daniele trascorreva tanto tempo, anche dopo che i genitori si erano separati. Una casa in cui tutto ancora parla di lui, le foto al muro e sui mobili, le vespe che come il padre adorava, quella macchinina con cui giocava da piccolo, le magliette e persino quel vecchio motorino rimasto fuori, compratogli tanti anni prima affinché il padre gli potesse insegnare a guidarlo. In mezzo a questi ricordi e con il dolore che non lo abbandona, vive papà Pietro, carrozziere in pensione, che altro non desidererebbe, non potendo riportare in vita il figlio, che di sapere almeno il perché non sia più accanto a lui.

Sono trascorsi quasi 192 lunghissimi mesi da quel 30 marzo 2005 in cui la macchina di Daniele Polimeni venne ritrovata bruciata a San Gregorio, nel Reggino. Del giovane nessuna notizia, nessuna traccia fino al 1 aprile successivo quando il suo corpo venne ritrovato divorato dalle fiamme a Favazzina, vicino a Scilla, sul litorale tirrenico di Reggio Calabria. Una morte orrenda, rimasta senza colpevoli, che continua a angosciare il cuore di papà Pietro, come ha fatto con quello della madre Anna Adavastro, consumata da un male che le ha fatto raggiungere l’amato figlio nel 2015. Anna non aveva mai smesso di cercare, seppur invano, la verità.

Quella sera in cui cambiò tutto e iniziò l'incubo

«Quel giorno ci allarmammo perché il telefono di Daniele era spento da ore. Non riuscivano a chiamarlo. Anna andò dai carabinieri che poi ci avvisarono di avere trovato la macchina a San Gregorio. Solo la macchina, bruciata. Quella stessa notte io e Anna andammo a cercarlo ma senza risultati. Qualche giorno dopo fummo chiamati dai carabinieri per la più brutta delle notizie. Il corpo martoriato dalle fiamme di mio figlio fu ritrovato a Favazzina. Ancora non mi spiego perché quei 35 chilometri di distanza tra la macchina e il corpo. Daniele fu rapito e portato a Favazzina, dove poi fu bruciato vivo. Perché gli fu inferta tale sofferenza? Perché quel tragitto?», continua a chiederselo papà Pietro che a lungo ha sentito sulla sua pelle il dolore di quelle fiamme.

Vorrebbe risvegliarsi da questo brutto sogno e tornare ad essere felice con il figlio Daniele con il quale condivideva la passione per i motori e non solo. «Fare motocross in montagna saltando di qua e di là, cucinare nei boschi, andare a pesca. Tante cose facevamo insieme e adesso quelle cose non ci sono più. Lui non c’è più. Lo rivedo negli altri ragazzi e penso che lui non potrà mai diventare uomo. Mi manca tutto di lui». L’incubo di quella morte e della sua assenza non finisce e a distanza di 16 anni da quel 30 marzo in cui è stato ucciso, la sua morte è ancora impunita e quel delitto, avvolto nel mistero, ancora senza verità, senza giustizia, senza responsabili. Forse cattive compagnie, forse altre ragioni. Soltanto ipotesi che tali sono rimaste, per questo papà Pietro, che ancora attende, si sente abbandonato da tutti.

«È passato tanto tempo, lo so, ma io spero sempre anche se mi sento abbandonato da tutti, dallo Stato e da coloro che certamente sanno e continuano a non parlare. Era buono e sveglio, Daniele, e forse qualcuno se ne è approfittato, lo ha sfruttato promettendogli qualcosa e mettendolo in qualche brutta situazione. La madre Anna ha lottato tanto e se n’è andata senza sapare nulla. Io ancora spero perché credo che qualcuno sappia cosa è accaduto e che non parli. Chiedo solo di sapere perché, di conoscere il motivo. Chiedo di capire. Ho dentro una ferita enorme e ogni anno in questi giorni si acuisce un dolore che comunque non mi abbandona mai», continua Pietro Polimeni.

L'appello

Il nome di Daniele è pronunciato ad alta voce ogni anno da Libera in occasione della Giornata della Memoria e dell’impegno. Nei giorni scorsi per il sedicesimo anniversario della morte di Daniele, il nuovo appello della zia Mary, sorella della mamma Anna, e adesso quello del padre Pietro: «Anche anonimamente, se ci fossero paure e timori, potreste raccontare cosa sapete, cosa è successo affinché anche io possa sapere, affinché questo delitto non resti senza verità e giustizia. Lo so che Daniele non ritornerà mai in vita ma io comunque voglio sapere, vorrei sapere», conclude Pietro Polimeni, padre di Daniele.