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"Una bella mattina di sabato Santo, allo spuntare e non spuntare del sole, passeggiando sulla riva del mare vitti una barca con tre vecchi marinai, che mi domandarono cosa stavo cercando..." Così inizia il documento decifrato dagli inquirenti e contenente il rituale di affiliazione alla 'ndrangheta, descritto nei minimi dettagli.
Una scoperta eccezionale, quella che gli uomini della guardia di finanza e della polizia hanno fatto e che ha fatto scattare l’operazione che questa notte ha portato all’arresto di 30 persone esponenti della ‘ndrangheta nella Capitale. Si tratta di un documento, denominato “Codice di San Luca”, in onore della ‘ndrina calabrese del paese di San Luca e contiene informazioni preziosissime, finora sospese tra tradizione e leggenda.
A parlare del codice è stato Gianni Cretarola, arrestato nel luglio 2013 perché presunto killer dell’ omicidio di Vincenzo Femia, il boss di San Luca considerato referente della cosca Nirta-Scalzone nella capitale e freddato a Roma, nel gennaio 2013.
A casa di Cretarola gli agenti sequestrarono nei mesi scorsi, tra l’altro, tre fogli scritti che sembravano geroglifici. I poliziotti hanno iniziato a tradurli e sono saltati fuori particolari importantissimi per gli inquirenti. “Come si riconosce un giovane d’onore? Con una stella d’oro in fronte, una croce da cavaliere sul petto e una palma d’oro in mano. E come mai avete queste belle cose che non si vedono? Perché le porto in carne, pelle e ossa”. Tutto ciò riconduce al mito della fondazione delle tre mafie, i tre vecchi Osso, Malosso e Carcagnosso.
Cretarola, in seguito alla scoperta, ha iniziato a collaborare e ha raccontato agli inquirenti della sua affiliazione alla cosca avvenuta nella calzoleria del carcere di Sulmona e della scalata ai vertici della ‘ndrina: prima picciotto, poi sgarrista, santista, vangelista, quartino, trequartino, padrino e capobastone.
“Per il battesimo ci vogliono cinque persone, non di più non di meno ma nella calzoleria ce n’erano solo due, oltre a me. Gli altri erano rappresentati da fazzoletti annodati”. “Il primo passo è la formazione del locale, una sorta di consacrazione che, alla fine del rito, verrà rifatta al contrario”. Poi il “tributo simbolico di sangue”. Che, in carcere, in mancanza di un coltello, è fatto con un punteruolo da calzolaio. Il rito prevede che il nuovo affiliato debba pungersi da solo, se non ci riesce alo terzo tentativo, si rimanda tutto di sei mesi. Poi le formule: “A nome dei nostri tre vecchi antenati, io battezzo il locale e formo società come battezzavano e formavano i nostri tre vecchi antenati, se loro battezzavano con ferri, catene e camicie di forza io battezzo e formo con ferri, catene e camicie di forza, se loro formavano e battezzavano con fiori di rosa e gelsomini in mano io battezzo e formo”. E via di questo passo. Un rito che si ripeterà per tre volte nel tempo, dopo un'opportuna votazione, a ogni passaggio di grado e di status. In carcere non si trova un santino di San Michele da bruciare, il novizio si limita a bere il sangue e giura "di rispettare le regole sociali, di rinnegare madre, padre, fratelli e sorelle, di esigere e transigere centesimo per centesimo. Qualsiasi azione farai contro le regole sociali sarà a carico tuo e discarico della società".