Quattro ex amministratori chiedono l'annullamento del decreto con il quale il 26 febbraio scorso l'Ente è stato sciolto per infiltrazioni mafiose. Due mesi prima, il sindaco Callipo si era dimesso in seguito all'arresto nell'ambito di Rinascita Scott
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
È stato ufficialmente presentato il ricorso al Tar del Lazio per chiedere l’annullamento del decreto con il quale il 26 febbraio scorso il Consiglio dei ministri ha sciolto gli organi elettivi del Comune di Pizzo Calabro per «comprovate infiltrazioni mafiose». Il decreto di scioglimento è stato poi firmato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. A presentare il ricorso ai giudici amministrativi sono alcuni ex assessori e consiglieri comunali: Maria Pascale, Cristina Mazzei, Sharon Fanello e Fabrizio Anello, tutti rappresentati dall’avvocato Crescenzio Santuori. Il ricorso è finalizzato a ripristinare il Consiglio comunale e l’amministrazione guidata dal sindaco Gianluca Callipo che – è comunque bene ricordare– si era in ogni caso dimesso prima dello scioglimento: esattamente il 21 dicembre scorso con una lettera indirizzata al prefetto di Vibo e ai suoi concittadini. Il 19 dicembre era stato arrestato infatti nell’ambito dell’operazione “Rinascita-Scott” con le accuse di concorso esterno in associazione mafiosa e abuso d’ufficio aggravato delle modalità mafiose. L’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata però annullata senza rinvio dalla Cassazione e Gianluca Callipo il 17 luglio scorso ha così lasciato il carcere di Cosenza per ritornare in libertà. Tuttavia, all’atto dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari ed ora della richiesta di rinvio a giudizio, la Dda di Catanzaro guidata dal procuratore Nicola Gratteri ha aggiunto nei confronti di Gianluca Callipo altri due nuovi capi di imputazione per il reato di corruzione elettorale.
Le nuove contestazioni
Nel primo episodio, Gianluca Callipo è indagato in concorso con Claudio Solano, 46 anni, ed i coniugi Francesco Marcello, 40 anni, e Antonella Bartolotti, 40 anni, tutti di Pizzo. I tre indagati – in concorso tra loro ed «in esecuzione di un medesimo disegno criminoso» – in occasione delle consultazioni elettorali per l’elezione dell’amministrazione comunale di Pizzo, tenutesi in data 11 giugno 2017 avrebbero stretto un accordo. Gianluca Callipo avrebbe agito nella qualità di candidato a sindaco, Francesco Marcello e la moglie Antonella Bartolotti quali gestori dell’esercizio commerciale avente insegna SPQR ubicato a Pizzo in Piazza della Repubblica. Tale accordo, secondo i pm De Bernardo, Frustaci e Mancuso, prevedeva da una parte l’impegno di Marcello e Bartolotti a sostenere la candidatura elettorale di Gianluca Callipo, dall’altra parte la promessa dello stesso Callipo di impegnarsi a deliberare atti amministrativi in favore dei coniugi Marcello-Bartolotti «dai quali dipendeva anche la possibilità di un impiego lavorativo in favore di Claudio Solano, che – si legge nel capo di imputazione – appoggiava elettoralmente Callipo ed in seguito veniva assunto proprio nell’attività ristorativa condotta dai coniugi Marcello – Bartolotti».
Il secondo episodio di corruzione elettorale vede Gianluca Callipo indagato insieme all’avvocato vibonese ed imprenditore Vincenzo Renda, 49 anni. Sempre in occasione delle elezioni amministrative dell’11 giugno 2017, secondo l’accusa l’allora candidato a sindaco Gianluca Callipo avrebbe stretto un accordo con Vincenzo Renda che prevedeva l’impegno di quest’ultimo a sostenere la candidatura elettorale di Callipo in cambio di un suo intervento, in qualità di amministratore, al fine di far ottenere a Renda il godimento, anche in mancanza di titoli abilitativi, di una porzione di arenile con annessa spiaggia sita a Pizzo, «unica area fronte mare rispetto alla struttura ricettiva Galia Luxury Hotel». Il reato in questo caso è aggravato dall’agevolazione delle attività del clan Mancuso di Limbadi – a cui Renda è ritenuto contiguo – ed della ‘ndrina di Pizzo a cui è invece ritenuto contiguo Gianluca Callipo.
Il ricorso e le conseguenze
Nel ricorso al Tar, i ricorrenti sottolineano l’assenza – a loro avviso – di concreti, univoci e rilevanti elementi idonei a dimostrare una forma di ingerenza della criminalità organizzata nella vita amministrativa dell’ente. Naturalmente, il giudizio amministrativo è del tutto sganciato dal procedimento penale ed i giudici del Tar Lazio, quindi, non sono tenuti ad attendere l’esito del maxiprocesso e il fondamento in sede penale delle accuse mosse a Gianluca Callipo e ad altri ex amministratori e dipendenti dell’ente. La giurisprudenza amministrativa ha infatti più volte chiarito, con molteplici sentenze, che non tutto ciò che è irrilevante in sede penale lo è anche in sede di scioglimento degli organi elettivi di un ente locale per infiltrazioni mafiose. Ben diversi sono infatti gli elementi di valutazione del giudice in sede penale ed in sede amministrativa, bastando in tale ultimo caso anche l’inerzia della politica dinanzi a condizionamenti sulla vita del Comune da parte della criminalità organizzata. In ogni caso, anche l’eventuale annullamento da parte del Tar del decreto di scioglimento degli organi elettivi del Comune di Pizzo Calabro e l’accoglimento del ricorso non consentirebbe all’ex sindaco Gianluca Callipo di ritornare in “sella”, in quanto lo stesso si è dimesso autonomamente (due giorni dopo l’arresto) circa due mesi prima del decreto di scioglimento.
Il “caso” Pizzo e i motivi alla base dello scioglimento
Per la prima volta nel Vibonese – e fra i pochissimi casi in Italia – la Prefettura di Vibo Valentia ed il Ministero dell’Interno non hanno ritenuto necessario nel caso di Pizzo alcun accesso ispettivo al Comune con l’invio di un’apposita Commissione di accesso agli atti, in quanto la valenza dei riscontri investigativi e degli elementi fattuali in possesso delle forze dell’ordine, all’indomani dell’operazione “Rinascita-Scott”, sono stati ritenuti «così evidenti da rendere non necessario un accesso ispettivo».
Il prefetto di Vibo, Francesco Zito, ha così acquisito in una riunione tenuta la vigilia di Natale 2019 il parere del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica – integrato con la partecipazione del procuratore distrettuale antimafia di Catanzaro, Nicola Gratteri, e del procuratore di Vibo Valentia Camillo Falvo – ed ha predisposto una relazione in cui si è dato atto della sussistenza di «concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti e indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata di tipo mafioso e su forme di condizionamento degli stessi».
Ci sarebbe stato, quindi, secondo il decreto di scioglimento, un «uso distorto della cosa pubblica» in favore di soggetti o imprese collegati direttamente o indirettamente ad ambienti malavitosi, con una «sostanziale continuità amministrativa», atteso che il sindaco Gianluca Callipo era al suo secondo mandato consecutivo e alcuni degli amministratori eletti nel 2017 hanno fatto parte, con cariche diverse, di precedenti consiliature. Grande rilievo è stato dato nella relazione della Prefettura di Vibo Valentia e del ministro dell’Interno anche al fatto che la ‘ndrina di Pizzo, al cui vertice viene collocato Salvatore Mazzotta, sarebbe riuscita a controllare e influenzare «in modo sistematico per i propri illeciti interessi, molteplici esponenti politici e burocratici dell’amministrazione comunale di Pizzo, riuscendo ad incidere e a determinarne le azioni amministrative».
Ai fini del commissariamento del Comune di Pizzo per infiltrazioni mafiose ha pesato inoltre il reato di falso con l’aggravante delle finalità mafiose contestato al comandante della polizia municipale, Enzo Caria, poiché con nota del Comune di Pizzo – polizia municipale del 22 giugno 2017, a seguito di richiesta da parte di personale della polizia penitenziaria del carcere di Vibo – avrebbe falsamente attestato la convivenza tra Salvatore Mazzotta ed Irene Altamura, consentendo a quest’ultima di avere acceso ai colloqui in carcere, luogo in cui il Mazzotta era all’epoca detenuto. Allo stesso comandante della polizia municipale viene poi contestato il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Da qui – ad avviso del Consiglio dei ministri e del Ministero dell’Interno, lo «svilimento e la perdita di credibilità» del Comune di Pizzo, nonché il «pregiudizio agli interessi della collettività», che hanno reso necessario il decreto di scioglimento al vaglio prossimamente dei giudici del Tar Lazio, territorialmente competenti in quanto la controparte sarà il Ministero dell’Interno la cui sede è – come noto – nella capitale.