«Vittoria! Primo obiettivo raggiunto». Così ha commentato il ministro Matteo Salvini la notizia che sarà la Spagna ad accogliere Aquarius, la nave Ong che batte bandiera di Gibilterra, con 629 migranti a bordo, respinta da Malta e dall’Italia. Ad annunciarlo è stato il premier spagnolo Pedro Sanchez che ha dato il via libera allo sbarco nel porto di Valencia.

 

Con l’escalation di dichiarazioni che si sono rincorse nelle ultime 24 ore, stava diventando davvero difficile distinguere tra propaganda e realtà dei fatti in una vicenda che è già diventata il simbolo del cambio di clima politico in Italia con riguardo alle tematiche legate all’immigrazione.

 

Per la prima volta, infatti, Palazzo Chigi non ha autorizzato l’ingresso in un porto italiano a un’imbarcazione carica di migranti. A dire No, com‘è noto, è stato il ministro dell’Interno Matteo Salvini. Eppure non è lui che ha competenza sugli scali portuali, che invece rientrano sotto il controllo della Guardia costiera, che a sua volta dipende dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, guidato dall’esponente cinquestelle Danilo Toninelli. Anche se quest’ultimo ha condiviso pubblicamente la presa di posizione di Salvini, resta il fatto che non è il titolare del Viminale ad avere formalmente l’ultima parola su questa materia.

 

Allo stesso modo, non hanno alcuna competenza sugli scali portuali neppure i sindaci. In Calabria sono 3 i primi cittadini che si sono detti disposti ad accogliere l’Aquarius: Ugo Pugliese (Crotone), Mimmo Lucano (Riace) e Giuseppe Falcomatà (Reggio Calabria). Una dichiarazione d’intenti, la loro, che non poteva tradursi in un’autorizzazione concreta all’attracco della nave Ong, ma che ha soprattutto un significato politico.
In ogni caso, qualora il comandante della nave si avvicinasse alla costa italiana, dichiarando un’emergenza a bordo, nessuno potrebbe negargli il permesso di attraccare, salvo contraddire il diritto internazionale che regola la navigazione.

 

Allo stesso modo, è obbligatorio prestare soccorso in mare a chiunque si trovi in pericolo di vita, fornendogli le prime cure e portandolo in un luogo sicuro, che non è necessariamente il porto più vicino. Non soccorrere i naufraghi, inoltre, è un reato previsto esplicitamente dal codice della navigazione in capo a tutti i soggetti pubblici o privati che abbiano notizia di una nave o persona in pericolo in mare.

 

Le attività di “ricerca e salvataggio” - ovvero “search and rescue”, da cui l’acronimo Sar – vengono svolte in base alla Convenzione di Amburgo, sottoscritta anche dall’Italia. Secondo questo trattato, ogni Stato ha un’area Sar di competenza ben precisa, ma siccome Libia e la Tunisia, pur avendo ratificato la convenzione, non hanno mai dichiarato quale sia lo specchio di mare di propria competenza, finisce spesso che sia l’Italia a farsi carico delle operazioni di ricerca e recupero che invece dovrebbero essere condotte dai due paesi nordafricani.