Le dichiarazioni spontanee al termine del controesame di Andrea Mantella nella nuova udienza del maxiprocesso. Dalle «caramelline» alla «nomea nelle carceri» per il penalista accusato di concorso esterno in associazione mafiosa (ASCOLTA L'AUDIO)
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Il controesame di Andrea Mantella, collaboratore di giustizia tra le carte principali della pubblica accusa al maxiprocesso Rinascita Scott, riparte con la raffica di domande poste dall’avvocato Paola Stilo, co-difensore di Francesco Stilo, penalista del foro di Latina oggi imputato di essere stato uno dei professionisti asserviti ad alcuni dei principali presunti boss alla sbarra nell’aula bunker di Lamezia Terme.
L’avvocato Paola Stilo incalza insinuando il dubbio che le conoscenze del superpentito, che è anche imputato nel processo, siano inquinate dalla conoscenza della discovery processuale. «Ho letto solo le due pagine che mi sono state notificate», replica però Mantella, affermando di non aver avuto cognizione non solo del colossale incartamento, ma anche della trattazione mediaticadel suo narrato e delle vicende oggetto del maxi-procedimento.
«Dall’avvio della mia collaborazione ho interrotto ogni contatto con gli ambienti criminali», continua il collaboratore nel ribattere al difensore. «Posso guardare la televisione, ma non posso guardare i telegiornali regionali», specifica quindi Mantella, che vive in località protetta fuori dalla Calabria sin dall’avvio del suo percorso di dichiarante per la giustizia.
«Non ho mai detto di aver consegnato io dei bigliettini al mio coimputato Francesco Stilo, ho solo dichiarato quello che ho saputo da Leone Soriano all’inizio del 2012 nel carcere di Cosenza e ciò che sapevo di mio», dice sempre l’ex killer di Vibo Valentia, il qualeevidenzia: «L’attività di messaggistica di Stilo era una voce comune nelle carceri, lo consideravano un amico e non un avvocato». E poi: «Dal 2012 in avanti non ho appreso altro sul conto dell’avvocato Stilo perché Soriano finì al 41bis e io sono stato trasferito nel Nord Italia». Mantella torna quindi sul metodo per far entrare e uscire i messaggi dal carcere: «Con gli avvocati funziona il metodo delle “caramelline” che vengono passate da una parte all’altra o con gli appunti sull’agenda». E poi: «Soriano, ma anche Roberto Piccolo, dicevano che Stilo si metteva a disposizione anche con altri soggetti e mi suggerivano di nominarlo anche io per avere questi benefici, ma non l’ho mai nominato».
Invitato a spiegare come fosse strutturata la sala colloqui del carcere di Siano e Cosenza e quali fossero i protocolli di sicurezza, il dichiarante specifica: «Ci sono le telecamere, che ricordo non fossero attive. Potevano esserci delle perquisizioni sui detenuti ma erano molto superficiali. Le sale di Cosenza erano meno riservate rispetto a Catanzaro». Scopo della difesa, evidentemente, quello di dimostrare come le modalità dei colloqui tra detenuti ed avvocati e i protocolli di sicurezza dissuadessero o rendessero complicato o non possibile lo scambio di messaggi: «Ho detto di aver saputo da Soriano che Stilo gli aveva consegnato un telefonino poi nascosto nella branda, ma non ho mai detto che l’avesse consegnato davanti alla polizia penitenziaria», la risposta di Mantella: «Per mia esperienza a Cosenza nove volte su dieci non venivo perquisito e quando lo facevano ti toccavano le tasche, non andavano a verificare se nascondevi qualcosa nelle parti intime».
A questo punto, domande sul progetto di omicidio dell’imprenditore di San Costantino Giuseppe Grasso, chiamato a deporre contro i Soriano e per il quale il boss Leone avrebbe veicolato all’esterno del carcere, secondo il pentito tramite l’avvocato Francesco Stilo, l’ordine di ucciderlo. «Più volte ha cambiato versione», accusa Paola Stilo, contenuta dal Tribunale. Rintuzza Mantella: «Il nucleo delle mie dichiarazioni non è mai cambiato e sono stato esaminato, in merito a Stilo, anche da procure diverse da quella di Catanzaro». Rispondendo, invece, alla domanda: «Io non so a chi fu veicolato il messaggio di Soriano per uccidere Grasso».
Mantella, il 10 ottobre del 2016, fu controesaminato – audito per la prima volta da collaboratore nel processo Black Money – dall’avvocato Francesco Stilo. «Io capisco quando parla l’avvocato e quando parla il malandrino attraverso il suo avvocato… E dipende da chi parla, tra le due figure, io rispondo. Allora parlava per conto di un malandrino, faceva domande fuori luogo rispetto al processo». E il difensore: «Sono solo deduzioni le sue, non le è mai stato simpatico l’avvocato Stilo».
Al termine del controesame, dichiarazioni spontanee da parte dell’imputato Stilo: «Mantella ha rilasciato dichiarazioni sul mio conto tre giorni dopo quell’udienza al processo Black Money. Dice che io avrei veicolato messaggi fuori dal carcere anche per conto di Saverio Razionale, Paolino Lo Bianco, Antonio e Pantaleone Mancuso “Vetrinetta”, Claudio e Danilo Fiumara. Mantella dice fino al 2012. Ma io prima del 2014 non sono stato difensore di alcuno di loro. O Mantella ci dice il falso o gli hanno raccontato delle burle. Io sto rispondendo di aver portato in carcere una messaggistica con “caramelline” sulla base delle richieste di Mantella. Il 10 ottobre del 2016, al processo Black Money, successe il finimondo. Mantella mi accusò dopo quell’udienza, ma sono tutte infondate. Io non so se arriverò al mio esame testimoniale perché ho troppe patologie. Ho leucemia e tante altre patologie. Io voglio lasciare un giusto ricordo dell’avvocato Stilo, che non è un mafioso. Non voglio che si infanghi il mio nome e quello dell’avvocatura. Ho perso la salute, il mio studio, tutto».