In aula nel corso del maxiprocesso, il vibonese spiega perché dopo il pentimento di Mantella era scappato nel Milanese facendo credere di essere vittima di lupara bianca
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Fibrillazioni interne al gruppo mafioso di Vibo Valentia ed il timore di finire arrestati a seguito dell’avvio della collaborazione con la giustizia da parte di Andrea Mantella avrebbero portato Bartolomeo Arena e Francesco Antonio Pardea alla decisione di allontanarsi dalla Calabria e trasferirsi al Nord. Il collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena, nel corso dell’esame nel maxiprocesso Rinascita Scott, ha raccontato anche quanto accaduto nell’aprile-maggio del 2019 sino alla sua decisione di “saltare il fosso” e abbandonare la criminalità organizzata nell’ottobre del 2019.
“Nei primi mesi del 2019 avevo iniziato ad allontanarmi dai miei cugini Camillò – ha riferito Arena – , mentre Francesco Antonio Pardea aveva maturato l’idea di uccidere Rosario Pugliese poiché lo riteneva l’autore dell’omicidio dello zio omonimo avvenuto nel 1985 in risposta all’omicidio di Cecchino Pugliese, ucciso dai Pardea all’età di 14 anni. Francesco Antonio Pardea, a differenza di me, non era contro i Mancuso, ma aveva comunque maturato la convinzione che sarebbe stato arrestato per le dichiarazioni di Andrea Mantella. Mi propose così di andarcene da Vibo facendo credere a tutti di essere rimasti vittime della lupara bianca. Prima di fare ciò, Francesco Antonio Pardea si consultò con un avvocato per capire ciò a cui sarebbe andato incontro allontanandosi e rompendo così la sorveglianza speciale. Avute rassicurazioni dall’avvocato sulla non gravità della violazione – ha spiegato il collaboratore – io e Antonio Pardea nell’aprile 2019 ci siamo trasferiti nel Milanese, nella zona di Nerviano, dove già mandavamo marijuana, e abbiamo cercato di creare qui una base per lo spaccio di droga. Sino a Milano ci ha accompagnato Alberto Marchese, un ragazzo che ci ha mandato Mario De Rito. Ad ospitarci nel Milanese è stato Filippo Grillo, originario di San Leo di Briatico, ma che aveva la dote di sgarrista nel locale di ‘ndrangheta di Seregno. Filippo Grillo ci disse che per aprire in zona un nuovo locale di ‘ndrangheta bisognava avere il permesso di Leonardo Prestia che a sua volta rispondeva ai Gallace di Guardavalle. Abbiamo parlato della cosa anche con Demetrio Quattrone, un affiliato ai De Stefano di Reggio Calabria”.
Le fibrillazioni a Vibo per la scomparsa di Pardea ed Arena
Intanto a Vibo Valentia si era sparsa la notizia della scomparsa di Francesco Antonio Pardea e Bartolomeo Arena. Un allontanamento tenuto nascosto anche ai più stretti sodali di Pardea ed Arena, vale a dire Salvatore Morelli e Mommo Macrì e che stava per portare a degli omicidi. “Ritenendo erroneamente chenella nostra sparizione – ha svelato Bartolomeo Arena – fosse coinvolto Paolo Lo Bianco, Mommo Macrì e Michele Pugliese stavano quasi per assassinarlo. Ritornati a Vibo io e Pardea, Salvatore Morelli si era invece distaccato da Francesco Antonio Pardea ritenendosi offeso poiché non era stato informato del nostro allontanamento. A quel punto, io ed Francesco Antonio Pardea abbiamo provato a formare a Vibo Valentia un nostro gruppo criminale a parte a partire dal giugno 2019. Con c’erano Filippo Di Miceli, Domenico Pardea detto “Il Lungo” e Marco Ferraro. Dal mese di giugno, siano all’avvio della mia collaborazione con la giustizia, ho poi scoperto che il gruppo dei Pardea si era avvicinato ai Fiarè ed ai sangregoresi, mentre Francesco Antonio Pardea si era avvicinato ad uno dei Gallone, a loro volta vicini ai Mancuso. E’ stata per me – ha spiegato il collaboratore – una delusione e per questo ho maturato l’idea di collaborare con la giustizia e sono stato contento di non essere stato io l’artefice dell’omicidio di Rosario Pugliese, detto Cassarola. In quel periodo, inoltre, – ha concluso Arena – Mommo Macrì era solito mettere zizzania dicendo che io appartenevo ad una famiglia legata a Francesco Fortuna, alias Ciccio Pomodoro, parente dei Pugliese”.