Il collaboratore di giustizia di Vibo continua il suo controesame al maxi processo in corso a Lamezia: dalle confidenze sulle indagini in corso ai riti celebrati in carcere
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Voce ferma, freddo e determinato, l’ex killer del clan dei Piscopisani Raffaele Moscato continua il suo controesame al maxiprocesso Rinascita Scott. Le difese incalzano in particolare sui rapporti tra la sua cosca ed i presunti infedeli dello Stato. «Francesco Scrugli e Rosario Battaglia mi dissero che ero indagato per l’omicidio di Fortunato Patania - ribadisce il collaboratore di giustizia rispondendo alle domande dell’avvocato Vincenzo Cicino -. Lo avevano appreso dal carabiniere che era la nostre fonte dentro l’Arma». Ma il suo gruppo criminale avrebbe beneficiato anche del contributo di altre talpe: «All’epoca un parente di Scrugli, non ricordo se poliziotto o carabiniere, che era di Tropea, ci riferì che era stato fermato Daniele Bono con le foto di Scrugli e dello stesso Battaglia». E ancora: «C’era un altro uomo delle forze dell’ordine, un appartenente alla Guardia di finanza, che si chiamava Jhonny Giardina, che ci dava notizie, non sulla faida, ma sulla droga».
Tra il 2011 ed il 2012, tra Bagheria, in Sicilia, ed un noto pub di Vibo Valentia – chiarisce quindi Moscato replicando all’avvocato Marcello Scarmato – l’epoca nelle quali apprese di tali confidenze dai presunti infedeli. Sui motivi della sua collaborazione con la giustizia, invece, rispondendo all’avvocato Diego Brancia, Raffaele Moscato ha rammentato che, già da qualche giorno, egli si sentiva «marcio dentro». E poi sul conferimento delle ultime doti di ‘ndrangheta: «Paolo Lentini mi fece una croce sulla spalla destra per la Santa ed una sulla sinistra per la dote del Vangelo. Per farci riconoscere tra ’ndranghetisti basta solo toccarsi la spalla per indicare le doti possedute».
Quindi i suoi rapporti con Francesco Antonio Pardea: una conoscenza, anche criminale, che risale riferisce Moscato - all’età adolescenziale: «Andavo spesso a prendere macchine da lui, abbiamo avuto affari per droga e usura». E, poi, parlando sempre di Pardea: «Ci sono malandrini che pensano a fare battesimi, favella, posella e altro… Noi dei Piscopisani avevamo pensieri diversi, noi facevamo rapine, sparavamo, eravamo criminali veri, criminali in pancia come diceva Michele Fiorillo detto Zarrillo. Io da azionista pensavo che Pardea aveva doti che non meritava, perché è facile fare il malandrino seduto ad un tavolo per fare battesimi. Noi siamo stati sempre azionisti, malandrino sei se hai la macchia di sangue. Rosario Battaglia gli chiedeva “Ma tu per avere la dote del padrino che hai fatto?”. E lui rispondeva “Omicidi al nord”. Ma non era vero».