Dal progetto di assassinare Peppe Mancuso alle presunte delazioni in seno al suo gruppo. E sul tentativo di assassinare Rosario Pugliese: «Venne a Vibo il killer della cosca Libri, poi assoldammo degli slavi ma tutto saltò»
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«Noi fino a un certo punto possiamo arrivare, perché se tocchiamo alcuni soggetti rischiamo di metterci contro poteri che sono molto più forti della ‘ndrangheta». Bartolomeo Arena era cauto rispetto ai propositi bellicosi del suo gruppo, deciso a regolare i conti con la storia: «Francesco Antonio Pardea voleva assassinare Rosario Pugliese “Cassarola” e Domenico Piromalli perché sapeva fossero coinvolti nell’omicidio dello zio. Questa della vendetta – continua il collaboratore di giustizia deponendo al maxiprocesso Rinascita Scott – era una cosa che gli era stata inculcata dal nonno, ma anche dalla nonna».
E poi: «Una volta venne Filippo Di Miceli e mi disse “Si sanno le intenzioni che hai…”. Io rimasi senza parole, perché solo lui e Francesco Antonio Pardea sapevano. Io avevo in animo, a qualunque costo, di uccidere Peppe Mancuso alias “Mbrogghja” perché lui aveva ucciso mio padre e per questo mi aveva reso la vita impossibile sin dall’età adolescenziale. E ho saputo che Pardea disse questa cosa a Domenico Macrì, che era in stretti rapporti con Peppe Accorinti e Saverio Razionale il quale c’entrava con la morte di mio padre. Mio padre fu ucciso con un colpo in testa il 3 gennaio del 1985, poi fu adagiato sulla riva del Mesima, poi lo hanno spostato e non so che fine abbia fatto. Queste cose le ho saputo da Giovanni Franzé e Salvatore Tulosai. Se non collaboravo succedeva di tutto e di più e avrei rischiato anche la mia incolumità».
Insomma, Arena - per suo stessa ammissione - avrebbe avuto più di un motivo per saltare il fosso da uomo libero, quindi non solo l’intenzione di evitare che Vibo Valentia, per effetto dell’eliminazione di Pugliese e Piromalli, sprofondasse nel clima di una nuova guerra di mafia. «Pardea – spiega Arena – ha pianificato tre o quattro volte l’omicidio di Pugliese, con sopralluoghi e altro, tra il 2017 e il 2018, avevano anche una foto sua. Una volta venne pure Riccardo Artuso dei Libri di Reggio Calabria, che si rese disponibile per l’agguato, ma dopo poco tempo fu arrestato dalla Dda di Catanzaro in un’operazione sulla cosca di Cannavò. Artuso lo abbiamo conosciuto tramite Tassone. Dovevamo fare una rapina ad un portavalori al Vibo Center. Un’altra volta abbiamo assoldato degli slavi, ma il loro capo fu poi arrestato. È andata sempre male. L’ultima era invece concreta».