Dal riconoscimento della cosca grazie ai mammasantissima di Polsi alle alleanze con le altre famiglie: «L’uscita dal carcere di Luigi Mancuso ha cambiato tutto, lui non ha alcuna cosca nemica»
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L’esame del collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena al maxiprocesso Rinascita Scott prosegue definendo i nuovi assetti del nuovo locale ‘ndranghetista di Piscopio: «È nato - spiega rispondendo al pm Andrea Mancuso - grazie all’intercessione di Franco D’Onofrio, uomo d’onore che sta in Piemonte ed è stato riconosciuto a Polsi, grazie a Domenico Oppedisano e Peppe Commisso. So che ne facevano parte Michele Fiorillo detto Zarrillo, Rosario Fiorillo detto Pulcino, Nazzareno Fiorillo il Tartaro, Rosario Battaglia e Pino Galati. Ne parlammo anche con don Micu Oppedisano, quando ci recammo da lui assieme a mio zio Domenico Camillò. Questo avvenne poco prima dell’operazione Crimine. Anche mio zio doveva essere interessato, perché lo investì Antonio Cuppari, capo del locale di Spilinga che fu il primo ad essere riconosciuto nella provincia di Vibo, grazie al rapporto che si era creato tra lo stesso Cuppari e Paolo Meduri che a quel tempo era stato mandato lì al confino. Mio zio mi disse al riguardo che per la costituzione del locale di Piscopio più volte Cuppari parlò con Nazzareno Fiorillo, che abbiamo anche incontrato ad un matrimonio e qui smentì il fatto che in questo nuovo locale egli non volesse dei vibonesi. Loro erano attivi a Piscopio, Longobardi, Vibo Marina e Porto Salvo perché qui confluirono diverse famiglie, in particolare i Tripodi e i Mantino, che erano legati ai Piscopisani da vincoli di parentele».
Alleanze e vertici
Arena spiega anche come anche altre consorterie si legarono ai Piscopisani: «Il gruppo Mantella, gli Emanuele di Gerocarne, i Bonavota di Sant’Onofrio, il gruppo di Saverio Razionale di San Gregorio d’Ippona e altre persone di Stefanaconi». E ancora: «Questi rapporti, a livello di amicizia, restano sempre. Solo che mentre prima erano tutti alleati contro lo strapotere di Luni “Scarpuni”, quando è uscito Luigi Mancuso dal carcere le cose sono andate diversamente. Con Luigi Mancuso si erano tutti riappacificati e Luigi Mancuso credo non abbia alcuna consorteria nemica. Fino all’operazione Rimpiazzo, il vero capo del locale di Piscopio era Michele Fiorillo detto Zarrillo, che era molto legato a Salvatore Morelli. C’era anche Giuseppe Galati, che però in quella fase era più guardingo. Invece Nazzareno Fiorillo aveva disguidi con Battaglia e Rosario Fiorillo, che lo accusarono di non aver partecipato attivamente alla faida con i Patania. Accusavano di questo anche Nazzareno Felice. So che Battaglia in carcere progettavano di ucciderli, in particolare voleva che ad uccidere Nazzareno Fiorillo fosse proprio il nipote Michele detto Zarrillo».
L’aggressione a Orazio Lo Bianco
Bartolomeo Arena racconta anche un episodio particolare: «Una volta abbiamo tentato una estorsione ad un dentista. Il fratello del dentista si rivolse a Pino Galati, che a sua volta interessò Salvatore Morelli. Ci chiese la cortesia di lasciarlo stare, che avrebbe ricambiato il favore». Più avanti: «I Piscopisani si occupavano di tutto, droga, armi, estorsioni, omicidi, bische e non solo a Vibo ma anche in tutta la Calabria. Per esempio gestivano la bisca al circolo il Diamante nelle ore notturne». E ancora: «Una volta il mio gruppo picchiò Orazio Lo Bianco, dentro un circolo ricreativo, e a Vibo arrivò Michele Fiorillo, che chiese a Salvatore Morelli di lasciarlo stare. Morelli era l’unico che poteva mettere pace. Io allora mi defilai, perché non me la sentivo di picchiare Orazio Lo Bianco, che era nipote di Francesco Fortuna detto Pomodoro, a cui volevo molto bene, e perché era il fratello di un mio carissimo amico, col quale mi ero cresciuto. Andarono però tutti gli altri e lo picchiarono. Poi, grazie all’intervento di Fiorillo e Morelli, fu lasciato stare per un po’. Ce l’avevano assai con Orazio per il predominio del cimitero, dove da anni comandava lui assieme ai Pugliese “Cassarola”».
Il gruppo di Piscopio e Moscato
Riguardo la composizione del clan de Piscopisani spiega come «ci fossero diversi affiliati. I Merlo, i Brogna, D’Angelo “il Biricchino”. C’era Benito La Bella. Quando avevamo bisogno di rintracciare qualcuno ci rivolgevamo a Galati detto il Pagliaccio che gestiva il bar a Piscopio. Non conosco personalmente Raffaele Moscato, lo conoscevo solo di vista. Conoscevo invece benissimo suo padre Nicola che si era cresciuto a Vibo, nelle zone di Sant’Aloe. Quello che so di Moscato lo so da Francesco Antonio Pardea, che fu in carcere con lui a Frosinone, e da Salvatore Morelli. So che Moscato era affiliato ai Piscopisani, so che aveva la dote di Vangelo. Una volta il padre ci prestò addirittura una Ferrari per farci un giro. Era uno che amava la bella vita ed era attivissimo a livello criminale, soprattutto al Nord. So che Raffaele Moscato e Rosario Battaglia erano sempre insieme ed erano molto legati. A loro si legò moltissimo Francesco Scrugli. Mantella ai Piscopisani non dava confidenza più di tanto malgrado ci fosse amicizia, invece con Scrugli avevano un rapporto più intimo».
I rapporti con Pardea
Arena rammenta anche «una riunione importante di vertice, Battaglia arrivò con Moscato, che fu invitato ad uscire dalla stanza. Battaglia disse che garantiva lui per Moscato e qualora fosse uscito Moscato sarebbe uscito pure lui. Moscato così partecipò alla riunione. Anche questa cosa la so da Francesco Antonio Pardea e Salvatore Morelli». E poi: «So che Moscato gambizzò l’imprenditore Domenico Bono, che adesso credo sia all’estero. Bono non si mise a disposizione coi Piscopisani e per questo fu gambizzato. Pardea aveva rapporti con tutti. Una volta fu consigliato, in carcere, di spedire una lettera a Pantaleone “Scarpuni” in cui spiegava di non far parte del gruppo che gli era ostile. Non so come la fece uscire e recapitare. Però so che Battaglia lo seppe e i rapporti con lo stesso Pardea si fermarono lì».
Le armi usate da Macrì
I Piscopisani, aggiunge ancora Arena, avevano molte armi «anche perché le usavano. Si diceva avessero un arsenale impressionante. Le trafficavano e le vendevano. Una volta Michele Fiorillo diede due pistole a Salvatore Morelli, una regalata e l’altra la acquistò ad un prezzo irrisorio. Però una di queste pistole durò poco, perché Domenico Macrì la macchiò subito, per delle sparatorie che sono successe all’Affaccio. Alcune credo non siano neppure note alle forze dell’ordine». A questo punto l’udienza prosegue con il riconoscimento fotografico, da parte del collaboratore, delle foto contenute in un album redatto dai carabinieri del Nucleo investigativo di Vibo Valentia.